Conflitto tra Palestina e Israele: analisi e cronistoria

“Siamo in guerra”

É l’alba del 7 Ottobre 2023. I miliziani di Hamas attaccano Israele via terra, via mare e via cielo.

È l’operazione “Tempesta d’acciaio”, che si abbatte sul paese con una furia mai vista prima. Le ostilità tra israeliani e palestinesi non sono materia inedita, del tutto nuove sono tuttavia le modalità con cui quest’ultime si sono abbattute sui  civili.

Una pioggia di acciaio che si riversa sulle popolazioni, non soltanto quella israeliana che per prima ha subito gli attacchi, ma anche quella della Striscia di Gaza che subirà le pesanti ripercussioni preannunciate, e già in parte attuate, dal Presidente Netanyahu.

Di fatto, all’attacco di Hamas del 7 Ottobre, che ha colpito kibbutz israeliani vicini al confine con la Striscia di Gaza, è seguita una pesante controffensiva israeliana.

Israele ha riunito 300 mila soldati e ne ha inviati 100 mila ai confini della Striscia di Gaza, oltre ad aver interrotto la distribuzione di energia elettrica, acqua, luce e carburanti. “Siamo in guerra” ha dichiarato il primo ministro Nethanayu. Ai raid aerei, sono seguiti i bombardamenti su Gaza e sul Libano, dove gli obiettivi erano rispettivamente le postazioni di Hamas e degli Hezbollah, organizzazione politico-militare libanese probabilmente coinvolga nelle operazioni sul territorio israeliano. I media israeliani riportano l’annientamento di alcuni vertici dell’organizzazione, tra cui il capo dell’intelligence di Hamas, mentre è ancora caccia agli altri esponenti.

“Hamas non può piú esistere” ha dichiarato un generale israeliano in un’intervista al New York Times.

Si teme che l’annientamento di quest’ultima possa avvenire soltanto al caro prezzo di migliaia di vite.

Centinaia sono gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, centinaia le persone in fuga per l’imminente offensiva preparata da Netanyahu. Le popolazioni civili risultano le principali vittime della brutalità degli attacchi. Il numero di palestinesi uccisi nei raid israeliani é fissato a 2750 mentre il numero di morti israeliani durante le operazioni militari a 1400. Oltre 9700 i feriti, 199 gli ostaggi nelle mani di Hamas, 500 mila gli sfollati. Tra le vittime, numerosi minori tanti da arrivare a definire il conflitto “la guerra dei bambini”.

Si parla di emergenza umanitaria, soprattutto a seguito dell’appello di Israele ai cittadini di Gaza City, nel nord della Striscia di Gaza, di evacuare in prospettiva di un’imminente offensiva.

Hamas risponde, invitando il popolo dei palestinesi a restare, ad ignorare i messaggi propagandistici di Israele, che da parte sua accusa Hamas di utilizzare i civili come “scudi umani”.

“Guerra di bambini”, “Emergenza umanitaria”, “Scudi Umani”. Sono queste le denominazioni di un conflitto che é destinato a dilagare. Una macchia nera di terrore che si estenderà  su scala internazionale.

Chi denuncia e chi sostiene

La scena internazionale si affianca a quella nazionale. Fino ad ora diversi Stati europei si sono schierati a fianco di Israele.

L’Italia é al fianco del popolo israeliano in questo difficile momento, si legge in una nota diffusa da Palazzo Chigi a seguito di un colloquio telefonico tra Giorgia Meloni e il presidente israeliano Benjamin Netanyahu. Supporto arriva anche dagli Stati Uniti, attraverso le parole del Segretario di Stato Antony Blinken, il quale incontrando lo stesso presidente ribadisce che finché esisterà l’America, sarà al fianco di Israele . Tra gli altri paesi che hanno espresso il loro sostegno ad Israele troviamo Regno Unito, Germania, India, Canada, Polonia, Spagna e Francia.

Quest’ultima si è schierata in prima linea condannando la matrice terrorista insita negli attacchi orditi da Hamas e proponendosi come mediatore internazionale a fianco del presidente tedesco Scholz.

Dall’altro lato troviamo invece i paesi che si schierano sostengono i palestinesi. L’Iran dopo aver elogiato “il coraggio dei fratelli palestinesi” si è dichiarato pronto ad intervenire nel caso in cui continuasse l’attacco a Gaza. La Cina, attraverso le parole del massimo diplomatico di Pechino, Wang Yi, ha condannato le azioni israeliane che “vanno oltre l’autodifesa” e invitato la comunità internazionale ad “opporsi alle azioni di qualsiasi parte che danneggiano i civili”.

A livello internazionale, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu condanna il massiccio attacco di Hamas ma senza unanimità. “Quello che é successo é in parte il risultato di questioni irrisolte” afferma l’ambasciatore russo Nebenzia. Un’analisi che non rinuncia alla denuncia delle modalità brutali degli attacchi, ma ricollega quest’ultimi agli eventi che si sono susseguiti negli ultimi decenni. Decenni in cui entrambe le parti si sono macchiate di violenza.

Ció che emerge dalla totalità di queste dichiarazioni è la proporzione in cui il mondo, di fronte alla minaccia di un conflitto, si divida in chi denuncia e chi sostiene. La caratteristica che accomuna i paesi di entrambi i gruppi è la riluttanza ad intervenire direttamente.

Quando il timore è di un allargamento del conflitto su scala internazionale, cautela e mediazione diventano parole chiave. Gli atti raccapriccianti, che portano la firma del terrorismo preannunciano scenari ancor più agghiaccianti. Il timore é di una spirale di violenza contro le rispettive comunità, israeliana e palestinese su scala internazionali.

Nei giorni scorsi sono state organizzate diverse proteste pro-Palestina, da gruppi che giustificano le azioni di Hamas e altri di palestinesi che si dissociano da quest’ultime. In fondo i palestinesi non sono Hamas, cosí come gli israeliani non coincidono con la figura di Netanyahu. É stata inoltre rafforzata la sicurezza nelle aree in cui sono presenti minoranze israeliane al fine di prevedere ulteriori episodi di terrore.

Chi è l’aggressore e chi è l’aggredito

Spesso si parla di aggredito e aggressore, ma il diritto internazionale è in continuo mutamento, non è statico dunque diventa essenziale avere una prospettiva storica degli eventi; attualmente l’opinione pubblica condanna, giustamente, gli atti che ha compiuto Hamas, ma per comprendere meglio il quadro degli eventi è necessario ricostruire la storia di questa organizzazione terroristica e il contesto storico.

Innanzitutto il nome Hamas deriva dall’arabo: movimento di resistenza islamico, essa è un organizzazione islamista militante il cui scopo è rappresentare e guidare un movimento per la liberazione della Palestina dalla occupazione israeliana.

Il suo fondatore è Ahemed Yassin, un religioso palestinese cresciuto come attivista delle sezioni locali dei Fratelli Musulmani (un’organizzazione dell’islam politico nata in Egitto negli anni ‘20). Nel 1987 Yassin forma Hamas come alleato politico della fratellanza, all’indomani dello scoppio della prima intifada, l’anno successivo Hamas pubblica la sua carta, nella quale si pone come obiettivo la distruzione di Israele e l’istituzione di uno stato islamico in Palestina.

Dal 2007 Hamas si è imposta come leader della Striscia di Gaza, assumendo de facto le funzioni di autorità e governo.

Già in passato Hamas ha avuto scontri con Israele nel 2008, 2012, 2014 il cui ultimo scontro è durato 11 giorni ed è stato chiamato da Hamas: “Operazione Spada di Gerusalemme”. Nell’ultima operazione si ha avuto una dimostrazione delle capacità militari di Hamas, nel corso del conflitto più di 460 razzi e colpi di mortaio sono stati lanciati verso il territorio di Israele. Se è chiaro fin ora che Hamas è un’organizzazione politica paramilitare meno chiare sono le sue ideologie. Nel suo statuto ha dichiarato che la Palestina è una patria islamica che non potrà mai essere ceduta a non musulmani e che condurre una guerra santa per sottrarre il controllo della Palestina a Israele è un dovere religioso per i musulmani palestinesi.

Nell’articolo 9 dello statuto si afferma chiaramente qual’è l’obiettivo:”..Per quanto riguarda gli obiettivi: Sono la lotta contro il falso, sconfiggerlo e sconfiggerlo affinché la giustizia prevalga, le patrie siano recuperate e dalle moschee emerga la voce dei mu’azen che dichiarano l’instaurazione dello Stato dell’Islam, in modo che le persone e le cose tornino ciascuna al proprio posto e Allah sia il nostro aiutante...”

Ma affermato tutto questo, sorge spontaneo, soprattutto dopo il massiccio attacco inflitto ai danni di Israele, come questa organizzazione si finanzia per combattere questa guerra: ovviamente Hamas è escluso da qualsiasi tipo di assistenza internazionale che Stati Uniti o Onu forniscono alla Palestina. Il principale stato finanziatore dietro questo gruppo è l’Iran che contribuisce non solo economicamente, ma anche fornendo armi e addestramento. Teheran fornirebbe all’incirca 100 milioni di dollari all’anno ad Hamas (secondo gli Stati Uniti).

Gli ebrei hanno subito ingiustizie dai tempi degli antichi Romani fino a tempi più recenti con la Shoah; spinti dal voler creare uno stato ebraico là dove Mosè condusse il suo popolo e dove un millennio prima di Cristo si era sviluppato il Regno di Israele, tornarono nella terra promessa sospinti dal sionismo; il via libera ufficiale avvenne nel 1917 quando Lord Balfour, ministro degli esteri britannico, incoraggia una costruzione di un nucleo di ebrei in Palestina, però, subito, la convivenza con gli arabi divenne sempre più ostica.

Presi da un senso di colpa dopo la Shoah, le appena nate Nazioni Unite nel 1947 decise nella spartizione della Palestina britannica in due stati: uno per gli ebrei e uno per i palestinesi. Tale compromesso è accettato dagli ebrei ma rifiutato dal popolo palestinese, che non accettano il fatto di dover far spazio agli ebrei quando sono stati i popolo occidentali a infliggere tale danno. Nel 1947 il mondo era ancora con una mentalità che richiamava il colonialismo, nel quale le potenze sono abituate a tracciare confini con penna e righello senza tener conto di fattori sociali e culturali, portando al solo risultato quella di una guerra tra ebrei e arabi.

Se da una parte il popolo di Israele è stato un popolo martoriato fin dalle sacre scritture, dall’altra parte è ingiusto e inumano le condizioni di vita del popolo Palestinese privo di colpe rispetto al popolo occidentale che ha mille responsabilità sulle condizioni degli ebrei nella loro storia.

L’attacco di Hamas è stato un attacco senza precedenti e di un efferatezza unica, ma deve rimanere inaccettabile applicare la legge del taglione a discapito di donne e bambini.

L’unica via giusta è quella della pace, ma per far sì che diventi possibile c’è bisogno di una forte azione diplomatica da parte dell’occidente, condannando in primis le atrocità compiute da Netanyahu e riconoscendo ai palestinesi il loro diritto a vivere una vita libera e non confinati in una striscia di  365 km².

Credo sia essenziale rimanere lucidi nell’analizzare tale conflitto e riflettere bene su chi sia veramente l’aggredito e l’aggressore, e di chi siano le vere colpe.

L’azione di Hamas è fortemente da condannare ma se c’è una frase che sicuramente fa riflettere è quella dell’ex presidente del consiglio: “Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento [riferendosi alla condizione dei palestinesi] e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista.” (Giulio Andreotti)

A cura di Marianna Campo e Karuna Contini

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