Raccontare una storia complessa come quella tra Azerbaigian e Armenia non è semplice e trent’anni di conflitti sono difficili da riassumere in un semplice articolo. Tuttavia, per capire meglio la materia di cui stiamo trattando, è bene che si inizi da un’analisi del territorio dove ci troviamo e da una sua migliore comprensione : siamo nella regione del Caucaso, un istmo particolarmente conteso che si trova tra il Mar Nero e il Mar Caspio, tra il Medio Oriente settentrionale e la Russia Europea e perciò ponte tra l’Asia e l’Europa; dove insistono principalmente la Georgia, la Russia (Cecenia) e i protagonisti di questa storia: l’Azerbaigian e l’Armenia, entrambe ex repubbliche socialiste sovietiche costituitesi come stati nazionali dopo il crollo dell’URSS nel 1991.
Per millenni questa regione è stata punto di incontro di culture anche profondamente diverse tra loro e crocevia di imperi e popoli che si contendevano il controllo della zona, tra cui Romani, Persiani, Bizantini, Arabi, Turchi Ottomani e Russi. Il Caucaso è da sempre una regione aspra, prevalentemente montuosa e impervia, scarsa di infrastrutture e reti di collegamento ma molto ricca di risorse minerarie, idrocarburi e preziosi minerali che da sempre sono obiettivo dalle grandi potenze imperialiste. Data la sua morfologia, è evidente che fattori come la frammentazione etnica, fenomeni di clanismo e la lotta costante per controllo sul territorio si verifichino su un’area composta da poche e inaccessibili valli circoscritte.

Dopo il crollo dell’Impero Russo, vennero a galla le tensioni di quei popoli che per decenni avevano vissuto sotto un’unica entità nonostante le loro differenze. Gli Armeni sono storicamente una popolazione indoeuropea cristiana e storicamente filorussa, gli Azeri turcofoni e musulmani. Questi popoli, rappresentati dalle rispettive etnie, sono da decenni in conflitto, e al culmine di queste dispute c’è la lotta per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, che ha portato a due conflitti armati, il primo negli anni Novanta e il secondo, più recente, nel 2020.
Il Nagorno-Karabakh: questione di principio o autodeterminazione di un popolo?
Il Nagorno-Karabakh è una regione montuosa di circa 4.500 km², situata all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaigian, di fatto un’enclave, ma abitata in maggioranza da armeni cristiani. La regione ha dichiarato la sua indipendenza dall’Azerbaigian nel 1991, con il sostegno dell’Armenia, scatenando una prima guerra che è durata fino al 1994, quando fu firmato un cessate il fuoco sotto la mediazione della Russia. Da allora, il Nagorno-Karabakh è controllato dalle autorità locali, che hanno formato la Repubblica di Artsakh, non riconosciuta dalla comunità internazionale mentre l’Azerbaigian ne rivendica la sua sovranità.

Negli anni successivi, i tentativi di pace promossi dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) non portarono a risultati concreti. Al contrario, le tensioni tra i due Paesi si acuirono, con frequenti scontri lungo la linea del fronte e reciproche accuse di violazioni del cessate il fuoco. Nel 2017, il Nagorno-Karabakh proclamò unilateralmente la propria indipendenza come Repubblica dell’Artsakh, provocando l’ira dell’Azerbaigian.
La seconda guerra scoppiò nel settembre 2020, quando l’Azerbaigian lanciò un’offensiva militare per riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh. L’Armenia mobilitò le sue forze per difendere la regione, ma dovette affrontare una netta inferiorità militare rispetto all’avversario, che disponeva di armamenti più moderni e sofisticati, forniti dalla Turchia, alleata strategica di Baku. Il 9 novembre 2020, i due Paesi firmarono un accordo di pace, ancora una volta mediato dalla Russia, che prevedeva il ritiro delle truppe armene da alcune aree del Nagorno-Karabakh e l’invio di forze di pace russe nella regione.
L’accordo fu accolto con sollievo dalla comunità internazionale, ma con rabbia da gran parte della popolazione armena, che lo considerò una resa umiliante. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan fu accusato di tradimento dai suoi oppositori e dovette affrontare proteste e pressioni per le sue dimissioni. Il presidente azero Ilham Aliyev invece celebrò la vittoria come una rivincita storica e una riconquista della propria integrità territoriale.

La pace nel Nagorno-Karabakh è ancora fragile e minacciata da diversi fattori. Innanzitutto, il destino dei circa cento mila armeni che abitano nella regione è incerto: molti di loro sono fuggiti durante la guerra, temendo rappresaglie o pulizie etniche da parte degli azeri; altri sono rimasti, ma vivono in condizioni precarie e con poca fiducia nelle garanzie di sicurezza offerte dall’Azerbaigian. Inoltre, il ruolo della Russia nella regione è ambiguo. Da un lato, Mosca si presenta come un garante della stabilità e della convivenza tra i due Paesi. Dall’altro, mantiene una forte influenza sull’Armenia, suo alleato storico, e cerca di contrastare l’ingerenza della Turchia, suo rivale geopolitico. Infine, la questione del riconoscimento internazionale del Nagorno-Karabakh rimane irrisolta. Nessuno Stato al mondo ha riconosciuto la sua indipendenza, nemmeno l’Armenia. L’Azerbaigian invece rivendica la sua sovranità sulla regione e si oppone a qualsiasi forma di autonomia o autodeterminazione degli armeni.
Individuiamo perciò le cause della guerra del Nagorno-Karabakh che sono di natura storica, etnica, religiosa e geopolitica, identificandolo come un caso di irredentismo e secessione, che mette in discussione i principi di integrità territoriale e di autodeterminazione dei popoli.
Sviluppi recenti e prospettive future per un accordo di pace
Tra il 19 e il 20 settembre 2023, l’esercito azero ha sferrato un’offensiva militare nei confronti della regione indipendentista, dichiarando di aver avviato delle “attività antiterroristiche” nel Nagorno-Karabakh. Le forze dell’Artsakh hanno opposto resistenza, ma sono state sopraffatte dalla superiorità numerica e tecnologica degli aggressori. L’operazione ha causato centinaia di morti tra i militari e i civili di entrambe le parti, oltre a gravi danni alle infrastrutture e al patrimonio culturale della regione.

Successivamente è stato raggiunto un accordo di pace tra l’Azerbaigian e l’Artsakh, con la mediazione del comando russo di mantenimento della pace nella regione che prevedeva il ritiro delle forze armene da alcune aree del Nagorno-Karabakh e l’inizio di negoziati tra i rappresentanti dell’Azerbaigian e dell’Artsakh per definire lo status della regione. Tuttavia, l’accordo non ha risolto definitivamente il conflitto e ha lasciato aperte le possibilità di nuove violazioni del cessate il fuoco e di violenze etniche.
L’offensiva azera ha avuto gravi conseguenze umanitarie e politiche: diverse organizzazioni per i diritti umani ed esperti di prevenzione del genocidio hanno denunciato l’esodo di oltre 100.000 armeni, circa l’80% della popolazione del Nagorno–Karabakh, come un crimine di guerra e contro l’umanità, fuggendo verso l’Armenia e temendo per la loro sicurezza e la loro identità. L’operazione ha provocato una crisi politica in Armenia, dove migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il governo accusato di aver tradito gli interessi nazionali e di aver ceduto alle pressioni dell’Azerbaigian e della Russia, facendo riemergere la fragilità dell’equilibrio geopolitico nella regione del Caucaso.
È però notizia di pochi giorni fa la volontà dell’Armenia di firmare un accordo di pace con la controparte azera entro novembre 2023 e un accordo sull’instaurazione di relazioni. Il premier armeno Pashinyan ha dichiarato. “Stiamo ora lavorando con l’Azerbaigian a un progetto di accordo sulla pace e sul ripristino delle relazioni. Spero che questo processo venga completato con successo”,

Come abbiamo potuto apprendere, il Caucaso e, in particolar modo, il Nagorno, sono aree che hanno subìto una profonda trasformazione nel corso degli anni che hanno cambiato gli equilibri geopolitici nella regione. Il futuro dipende dalla volontà politica dei due Paesi coinvolti nel conflitto di risolvere la controversia, ed è ben accolta dalla comunità internazionale il tentativo di siglare un accordo fra le parti, ma dati i precedenti non possiamo sapere quanto peso e importanza avrà, se sarà un accordo definitivo o sarà l’ennesimo tentativo sfumato di curare una ferita apparentemente incurabile. Come sempre rimaniamo aggiornati sugli sviluppi della vicenda e ne seguiremo l’evoluzione.
A cura di Andrea Borraccetti