Le nuove sfide geopolitiche globali, tra cui l’invasione russa dell’Ucraina e la questione palestinese, richiamano l’attenzione su un antico dibattito Europeo di politica internazionale per molto tempo considerato un tabù, ovvero la creazione di una difesa comune. I paesi Europei, in particolar modo dopo il trattato di Maastricht, collaborano nei delicati settori di difesa e sicurezza per il raggiungimento di obiettivi comuni, ma da sempre manca una vera e propria integrazione che consentirebbe, tra le altre cose, di seguire una linea unanime in politica estera. L’hard power, si sa, rappresenta ancora una variabile essenziale per la protezione dei propri interessi strategici, e per questo motivo gli Stati membri hanno sempre ostacolato, nella migliore delle ipotesi rallentato, le numerose iniziative volte a superare le barriere nazionali all’integrazione in questi settori. All’interno dei trattati attuali, infatti, le politiche di difesa e sicurezza comuni sono regolate da dinamiche intergovernative. Ciò significa che sono gli Stati ad avere potere decisionale e non organi sovranazionali. Le questioni relative a politica estera sono gestite all’interno del Consiglio, nel quale gli Stati possono esercitare potere di veto e bloccare qualsiasi iniziativa se ritenuta contraria ai propri interessi. Questo meccanismo, è facilmente intuibile, ha rallentato di molto il processo di integrazione ed è spesso sinonimo di inefficienza, soprattutto nella gestione delle risorse economiche.

Una questione economica
La questione “difesa comune europea” è estremamente eterogenea. Essa porta con sé anche innumerevoli contraddizioni che riguardano le politiche economiche degli Stati membri, oltre a quelle meramente politiche. Il problema principale è l’eccessiva frammentazione del settore, che da decenni l’Unione Europea cerca di superare con diverse difficoltà. Questa si riflette principalmente nella scarsa integrazione del mercato degli armamenti, all’interno del quale i principi liberali cardine del processo di integrazione economica Europea non sono mai stati applicati in maniera completa. Il settore della difesa ha da sempre legami strettissimi con la tutela dell’interesse nazionale e la preservazione della propria sovranità; per questo motivo, nell’Unione Europea da sempre prevalgono politiche economiche protezionistiche volte a tutelare le rispettive basi industriali nazionali. Come conseguenza, per la produzione dei più importanti sistemi d’arma, l’industria Europea della difesa dispone di molteplici (e inutili) duplicazioni, che spesso vogliono dire sprechi di risorse e sono sintomo di inefficienza. Il vento del cambiamento tecnologico, invece, spinge in verso opposto: le moderne apparecchiature militari sono sempre più complesse e il loro sviluppo richiederà investimenti sempre più dispendiosi in futuro. In questo senso, una maggiore integrazione sarebbe certamente auspicabile per consentire di allocare le risorse in modo più efficiente. Tuttavia, la questione sensibile del destino dei comparti nazionali e i meccanismi decisionali dell’UE, estremamente sensibili al veto di singoli Stati membri, rendono complesso il percorso verso una completa integrazione.

Possibili prospettive: l’allargamento dell’Unione e la variabile Trump
Seguire la strada dell’integrazione è necessario, soprattutto perché queste inefficienze potrebbero diventare più severe in futuro e avere conseguenze più incisive. Come risposta all’invasione russa del 24 febbraio 2022, Ucraina, Georgia e Moldavia hanno infatti firmato una richiesta di adesione immediata all’Unione Europea che ha risposto affermativamente. Senza dubbi, la cooperazione tra gli Stati membri all’interno di un ipotetico Consiglio allargato sarebbe costretta ad affrontare sfide più difficili in politica estera. Armonizzare più di 27 attori internazionali con diverse culture strategiche e obiettivi, infatti, sarebbe senza dubbio più impegnativo. Un’altra variabile da non sottovalutare è la “variabile Trump”. Un’ipotetica vittoria di Trump alle prossime elezioni presidenziali americane potrebbe infatti portare a una crisi all’interno della Nato, minando così l’intesa che si era andata creando tra Biden e Unione Europea. Notoriamente, Donald Trump vede i Paesi europei come free riders delle risorse militari americane e ha affermato in un recente comizio che incoraggerebbe Putin a fare “quello che diavolo vuole” con i Paesi NATO che non rispettano gli obblighi di spesa per la difesa. Come farà l’Unione Europea a tutelare i propri interessi geopolitici vis-a-vis con Russia e Cina senza il sostegno degli Stati Uniti e in assenza di un sistema di difesa comune?

A cura di Simone Tistarelli
Fonti