
La struttura dell’ospedale vista dall’ingresso e dalla residenza dei medici.
(Fotografie di Errico Orsi)
Nel cuore del Tigray, la regione più settentrionale dell’Etiopia, che vede finito da un anno e mezzo il conflitto con l’Eritrea e il Governo federale di Addis Abeba, vi è una struttura che opera quotidianamente per fornire aiuti ai soggetti più deboli, coloro che vivono dignitosamente nella povertà più assoluta, fornendo cure sanitarie e servizi sociali essenziali gratuiti. Questa struttura si chiama H.E.W.O. (Hansensians Ethiopian/Eritrean Welfare Organization), nasce negli anni settanta del secolo scorso come comunità con l’obiettivo di curare e ricostruire una struttura sociale ai lebbrosi etiopi ed eritrei, resi spesso invalidi al lavoro e regolarmente esclusidalla vita sociale a causa della loro malattia.
Ancora oggi nell’ospedale vi è un reparto dedicato ai pazienti lebbrosi, insieme ad altri non meno importanti in cui soggiornano pazienti, donne e uomini, molti dei quali insieme ai figli, malati di HIV/AIDS e Leishmaniosi cutanea. Ma non solo, nelle strutture di H.E.W.O. è posta particolare attenzione all’integrazione sociale, caratteristica che affonda le sue radici nella storia dell’Organizzazione e per la quale sono sorti nel tempo un centro per i diritti dei bambini, la “casa delle donne”, un reparto di maternità ed uno di pediatria. Fulcro del centro per i diritti dei bambini è l’asilo, orgoglio comune dei direttori dell’ospedale e degli abitanti di Qwiha, che accoglie attualmente 148 bambini provenienti dalla cittadina e dalle zone limitrofe, i quali ricevono lezioni per imparare a parlare, leggere e scrivere l’inglese e ai quali comunemente ci si impegna a fornire due pasti al giorno. Si accosta a questo la “casa delle donne”, inaugurata da qualche mese, in cui madri sole ed emarginate vengono accolte e aiutate nel fornire il necessario per crescere ai figli. Infine, non si può non parlare del ben riuscito tentativo di autosufficienza della comunità: della stalla che fornisce il latte per i bambini ricoverati e del vasto orto che sorge su un terreno arido e pietroso grazie all’instancabile lavoro degli agricoltori; della rete di pozzi, del forno in cui viene prodotta la injera, principale elemento di sostentamento per la popolazione tigrigna, il quale ingrediente è il teff, cereale povero di nutrienti, unico che cresce nella zona.

Tutte le mattine alle 8:00 i bambini si presentano al cancello della struttura, dove vengono contati e accompagnati dalle maestre all’asilo. Una volta arrivati, prima di entrare in aula si tolgono le scarpe e le ripongono ordinatamente in una scarpiera posta vicino alla porta per indossare un paio di ciabattine pulite.
(Fotografie di Errico Orsi)
È in questo contesto che, dal 2002, opera Lazio Chirurgia Progetto Solidale, onlus romana che fornisce materiale sanitario e servizi di chirurgia generale gratuiti nell’ospedale H.E.W.O., il quale si è arricchito negli anni di due sale operatorie, di un apparecchio per l’anestesia ed un bisturi elettrico per la sala principale, strumenti grazie ai quali è possibile effettuare interventi più gravosi di quelli effettuati in anestesia locale nella seconda sala, e di due strumenti per la sterilizzazione del materiale, un’autoclave e uno a secco. Tra il novembre 2020 e il novembre 2022 si è combattuta la guerra del Tigray che si è conclusa con la firma della pace di Pretoria del 3 novembre, durante la quale sono stati commessi innumerevoli crimini di guerra e crimini contro l’umanità che hanno lasciato la popolazione del Tigray nella fame e nella mancanza dei beni di prima necessità. Tuttavia, sebbene il conflitto sia terminato, gli oltre 250000 soldati dell’Esercito Federale non hanno ancora abbandonato il Tigray. Dalla fine della guerra sono anche pressoché ininfluenti i tentativi delle organizzazioni umanitarie di fornire aiuti alla regione.




Foto scattate al mercato di Qwiha il giorno prima della Pasqua.
(Fotografie di Tommaso Orsi)
Appena è divenuto possibile, Lazio Chirurgia ha organizzato una delle prime missioni umanitarie nell’ospedale dalla fine del conflitto, dal 29 aprile al 10 maggio 2024. L’equipe medica era composta di cinque chirurghe e chirurghi, una ferrista, un anestesista ed una radiologa ecografista. Diverse sono le testimonianze dirette che sono state raccolte durante la missione, dai racconti dei contadini che sono stati colpiti e umiliati, i loro averi sono stati presi per quel che era possibile e per il resto bruciati. La stima è che ci siano stati oltre 200000 stupri e che nella maggior parte dei casi le vittime ne sono rimaste mutilate. All’ interno dell’ospedale, gli stessi medici e operatori sanitari locali ci hanno raccontato le storie di come hanno cercato di sopravvivere con le loro famiglie alle bombe e al fuoco indistinto sulle loro case. Ma sono anche molti i segni tangibili, camminando per Qwiha e Mekele, dell’eredità della guerra: povertà estrema, alto tasso di microcriminalità, ragazzi disoccupati che passano le giornate ad offrire il proprio lavoro alla ricerca di un mezzo per guadagnarsi di che vivere; inoltre, i bambini, anche quelli più piccoli, girano per le strade armati di bastone. Tuttavia, l’accoglienza per noi “ferengì” (espressione derivante da “foreign”) con la tradizionale cerimonia del caffè è immancabile e anche all’Ethio Thelecom di Mekele, dove ho passato una mattinata alla ricerca di schede telefoniche, sono stato trattato come un pari dagli uomini e dalle donne che avevano formato in modo autogestito una fila ordinata e rispettosa.
Durante la missione sono stati effettuati 52 interventi totali, di cui 23 gozzi tiroidei. È questa una patologia frequente nella popolazione del Tigray, a causa della mancanza di iodio (la maggior parte dei pazienti vive nella disidratazione, a 2250 metri sul livello del mare) che può assumere un carattere invalidante e rende più difficile trovare marito per le giovani donne. Mentre gli interventi alla tiroide venivano effettuati nella sala operatoria principale in anestesia generale, nella seconda sala si effettuavano principalmente lipomi ed altri interventi minori. L’iter dei pazienti iniziava prima dell’arrivo dei medici e prevede il cammino, spesso di qualche giorno, per dirigersi verso l’ospedale. All’arrivo dei chirurghi a Qwiha, la lista era già pronta ed iniziava il lavoro di ambulatorio. Una volta visitati singolarmente, i pazienti erano pronti per essere operati. Inoltre, sono stati distribuiti vestiti, scarpe e alimenti alle persone più povere. Ad Aksum, a Nord di Mekele, sono stati distribuiti farina di teff ed olio di oliva alle madri con bambini piccoli; ma non è abbastanza, di 900 famiglie si è riusciti ad aiutare solo le 120 più bisognose. Era forte il sentimento di gratitudine che le donne e gli uomini del luogo esprimevano nei nostri confronti per il servizio svolto. Tuttavia, nell’ospedale vi è anche una realtà continua, che vive oltre gli aiuti dei medici “ferengì”, che è la maternità ed i reparti di cui si scriveva sopra, ove uomini, donne e bambini di tutte le età ricevono cure, beni di primaria necessità ed un posto sicuro dove vivere.
L’auspicio è che la situazione nella regione del Tigray possa migliorare, che possa divenire più semplice far arrivare aiuti umanitari in modo tale di riuscire a dare una continuità a ciò che le equipe di Lazio Chirurgia Progetto Solidale svolgono fraternamente nell’ospedale H.E.W.O. di Qwiha; obiettivo per cui si è già tutti a lavoro.
A cura di Tommaso Orsi


Quotidiana attività chirurgica a H.E.W.O e i volti di alcune delle donne di Aksum che, nonostante sapessero di essere escluse dalla distribuzione dei beni, si sono presentate nella speranza di ottenere qualcosa.
(Fotografia di Errico Orsi)
(Fotografia di Tommaso Orsi)
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