Intervista con l’Ambasciatore Cosimo Risi

Domanda: Ambasciatore Risi, partiamo da quanto accaduto in Medio Oriente fino al 7 ottobre 2023. Molte persone si chiedono come si stia trasformando la regione e, più in particolare, come siamo arrivati a questo punto?

Risposta: Il 7 ottobre ha rappresentato un’epoca di incubazione, una situazione che si stava preparando da tempo. La Striscia di Gaza è spesso descritta come una prigione a cielo aperto; pur affacciandosi sul mare, i pescatori possono lavorare solo in alcune aree e sotto severe restrizioni. L’unico valico è quello di Rafah verso l’Egitto, che viene aperto e chiuso a discrezione egiziana. Alcuni gazani, noti come “Gazans” in inglese, hanno permessi di lavoro in Israele, ma per molti la sopravvivenza dipende dall’assistenza umanitaria internazionale e dai finanziamenti dal Qatar. Si dice che l’ambasciatore del Qatar viva periodicamente con una valigia piena di shekel, poiché gran parte dei fondi è soggetta a intercettazioni. Hamas amministra Gaza dal 2007, dopo aver interrotto l’originaria coalizione con Al-Fatah. Questa amministrazione solitaria ha cercato di avvicinarsi sempre di più all’Iran, nonostante le differenze religiose: Hamas è sunnita, mentre l’Iran è sciita. Tuttavia, l’Iran finanzia Hamas e lo utilizza come braccio operativo in Palestina, così come Hezbollah in Libano e varie milizie in Siria e Iraq. Ho recentemente letto un libro di Giampiero Massolo, “Il Real Politico”, che analizza gli eventi del 7 ottobre, evidenziando la sorpresa subita dai servizi di sicurezza israeliani, nonostante Israele sia uno dei paesi più militarizzati al mondo. Ci si domanda: come è potuto accadere? La risposta risiede in una scissione tra gli apparati di sicurezza e il governo a causa della riforma giudiziaria voluta da Netanyahu, che ha suscitato proteste tra le forze di sicurezza. Questa disconnessione ha portato a una mancanza di coerenza tra le decisioni politiche e le operazioni sul campo. I segnali di allerta erano presenti: manovre e esercitazioni di Hamas si intensificavano, eppure i messaggi non venivano tradotti in misure preventive. Inoltre, il governo ha deciso di spostare la maggior parte delle forze in Cisgiordania per proteggere i nuovi insediamenti, lasciando la barriera con Gaza relativamente sguarnita. Questo ha portato a una tragica sottovalutazione della minaccia, culminata nell’assalto del 7 ottobre, che ha sorpreso tanto i gazani quanto gli israeliani, andando oltre le aspettative.

Domanda: Considerando le complesse alleanze in Medio Oriente, qual è l’influenza dell’Iran nel recente conflitto tra Gaza e Israele?

Risposta: L’Iran ha adottato una strategia di destabilizzazione, evitando però un conflitto aperto, poiché ciò non rientra nei suoi interessi. L’Iran non ha la volontà né la capacità di affrontare una guerra diretta, poiché un conflitto del genere potrebbe generare tensioni interne. La sua pressione è esercitata a bassa intensità, attraverso i proxy, ovvero i gruppi che finanzia, addestra e protegge. Israele deve affrontare Hamas a sud e Hezbollah a nord. Quest’ultima è una milizia molto più potente, che ha creato uno stato dentro lo stato in Libano. L’Iran, secondo Massolo, si serve della causa palestinese come pretesto; non è realmente interessato alla causa stessa, ma mira a disturbare Israele e, potenzialmente, a distruggerlo. Ha l’ambizione di condizionare la politica americana attraverso la destabilizzazione di Israele e cercando una via di accesso al Mediterraneo. Questa proiezione di potenza avviene sempre a bassa intensità: anche in risposta a provocazioni israeliane, l’Iran tende a evitare un’escalation eccessiva.

Domanda: Riguardo al Libano, recentemente è stato teatro di scontri interni e tensioni regionali. Crede che il Libano possa diventare un nuovo teatro di conflitto?

Risposta: Il Libano è diventato la vittima sacrificale di tutte le tensioni regionali. Un tempo, il Libano era visto come la Svizzera del Medio Oriente, con diverse etnie e religioni che coesistevano. Oggi, però, è in via di sgretolamento come stato, subendo attacchi da molteplici fronti. Hezbollah si è fortificato, non si è smilitarizzato e ha creato un mini-stato all’interno di uno Stato già precario. Israele, vista l’inefficacia della missione UNIFIL nel garantire la sicurezza, potrebbe decidere di intervenire direttamente contro Hezbollah, cercando di decapitarne la leadership. Ciò potrebbe provocare una reazione favorevole tra i gruppi non sciiti, come i cristiani, che vedono la prepotenza israeliana come inaccettabile. Questo porta a una complessa dinamica interna, dove la guerra viene percepita in modo diverso da ciascun gruppo. L’Occidente ha un ruolo fondamentale nel gestire la crisi e nel promuovere una soluzione pacifica, ma le azioni pratiche sembrano spesso carenti. È essenziale che si sviluppi un dialogo aperto e sincero, in modo da affrontare le radici del conflitto e non solo i sintomi.

Domanda: Gli Stati Uniti sono frequentemente considerati un attore geopolitico fondamentale nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Tuttavia, le recenti dinamiche internazionali suggeriscono che la loro influenza possa essere in declino. Qual è la sua valutazione riguardo alla potenziale erosione della posizione statunitense nel corso del tempo? In merito alle azioni finora intraprese dagli Stati Uniti, come giudica l’adeguatezza di tali misure rispetto agli eventi recenti?

Risposta: A partire dalla presidenza Obama, gli Stati Uniti hanno intrapreso un processo di disimpegno dal Medio Oriente, delegando la responsabilità della sicurezza della regione ad attori locali, in particolare a Israele. Gli Accordi di Abramo, promossi dall’amministrazione Trump, hanno mirato a facilitare un avvicinamento tra Israele e altri paesi della regione, come gli Emirati Arabi Uniti. Questa strategia ha avuto un certo successo, contribuendo a una diminuzione della percezione della minaccia da parte di Israele e facendo sì che la questione palestinese venisse ritenuta meno rilevante a livello internazionale. Tuttavia, Hamas è riuscito a interrompere il processo di normalizzazione e a riportare la questione palestinese al centro del dibattito internazionale. Gli Stati Uniti, quindi, si trovano a dover affrontare nuovamente questa problematica. Fino a poco tempo fa, l’attenzione americana era concentrata sulla guerra in Ucraina, con un sostegno finanziario all’Ucraina, ma senza un intervento diretto. Attualmente, gli Stati Uniti sono stati costretti a un intervento diretto in Medio Oriente, con una presenza militare significativa a sostegno di Israele. Non possono permettersi che Israele venga minacciato dall’Iran, dato che Israele rappresenta un alleato cruciale. Netanyahu, in molteplici occasioni, ha ribadito l’importanza della sua battaglia come correlata a quella degli Stati Uniti, enfatizzando questo punto sia al Congresso che in incontri internazionali. Tuttavia, il rapporto tra Biden e Netanyahu è complesso; Netanyahu è visto come un leader controverso, eppure gli Stati Uniti continuano a fornirgli armamenti. Si potrebbe paragonare questa relazione a quella di un genitore che, pur riconoscendo le difficoltà del proprio figlio, cerca di mantenere un legame.

Domanda: Recentemente, durante una lezione universitaria, un collega ha sollevato la questione se Netanyahu ponderi le proprie affermazioni prima di esprimerle. Questo è diventato evidente durante il suo intervento alla settantanovesima Assemblea delle Nazioni Unite, dove molti diplomatici hanno abbandonato la sala. Pensa che le affermazioni del leader siano dunque ponderate?

Risposta: È interessante notare che, nonostante la sua reputazione, Netanyahu ha mantenuto la carica per un periodo considerevole, più lungo di David Ben Gurion, che fondò lo Stato stesso. La sua popolarità è stata amplificata dagli eventi del 7 ottobre, che hanno portato il pubblico a considerarlo un leader forte. Ciò solleva interrogativi su come si definisca un leader, basandosi unicamente sulla percezione pubblica.Netanyahu non è un leader che parla a vanvera; è consapevole delle sue parole e le sue dichiarazioni sono coerenti con la sua strategia. Anche se Biden lo critica per la sua brutalità, Netanyahu ha un piano ben definito, che, sebbene possa suscitare opposizione, gli consente di ottenere consenso a livello nazionale. Inoltre, con l’avvicinarsi delle elezioni americane, nessuno dei candidati oserebbe mettere in discussione il sostegno a Israele, poiché ciò comporterebbe il rischio di alienare milioni di elettori e di perdere finanziamenti.

Domanda: In merito all’Unione Europea, abbiamo osservato un forte impegno verso il sostegno umanitario per il popolo di Gaza e della Palestina. Tuttavia, l’Unione non sembra avere un’influenza politica particolarmente incisiva. Ritiene che l’Europa possa giocare un ruolo decisivo nella risoluzione di questo conflitto?

Risposta: Attualmente, l’Europa sembra essere relegata a un ruolo subordinato, accettando questa posizione senza contestazioni. Nonostante la presenza di circa mille militari nell’ambito dell’UNIFIL, questi sono mantenuti in situazioni di sicurezza, evitando di affrontare rischi. La missione dell’UNIFIL ha mostrato evidenti segni di fallimento. Ci limitiamo a esprimere condanna e a auspicare una risoluzione pacifica, mantenendo la formula dei due popoli e dei due stati, che sembra ormai anacronistica. Le probabilità che l’Europa eserciti un’influenza decisiva sono molto basse. Nonostante il finanziamento all’Autorità Palestinese e un accordo di associazione con Israele, non vediamo un vero esercizio del potere politico europeo. Potremmo affermare a Israele che, in assenza di progressi, potrebbero essere previsti tagli ai finanziamenti, ma in pratica questa azione non si concretizza.

Domanda: La soluzione “dei due stati due popoli” sembra essere diventata un argomento tabù e sembra improbabile che possa essere attuata. Qual è la sua opinione sulla possibilità che questa soluzione possa effettivamente realizzarsi?

Risposta: Le probabilità di una realizzazione concreta della soluzione dei due stati sono estremamente basse. L’attuale situazione ha reso questo obiettivo ancora più difficile da raggiungere. Gli insediamenti in Giordania sono aumentati, contribuendo a una significativa frammentazione del territorio. Inoltre, la divisione tra Gaza e Cisgiordania è ormai consolidata, rendendo necessaria la creazione di un’autorità comune per governare i territori palestinesi. La volontà di Netanyahu e di molti israeliani sembra opporsi alla creazione di uno stato palestinese. La sua posizione è in linea con la sua opposizione all’accordo del 1993, e la sua idea è che i palestinesi possano autogovernarsi, ma senza aspirare a formare uno stato. La situazione attuale non lascia margini per ottimismi riguardo a cambiamenti significativi.

L’Ambasciatore Risi ha illustrato il processo di genesi di quanto accaduto il 7 ottobre 2023, in Medio Oriente, attraverso un’analisi completa che parte dalla primavera del 2017 e arriva alla primavera del 2024 nel suo ultimo libro, “Terre e Guerre di Israele. Sette anni di cronache mediorientali”, pubblicato nel che ci invita a leggere e scoprire. Vi lasciamo qui di seguito la scheda del competente e avvolgente lavoro dell’Ambasciatore, consapevoli che un’ulteriore conoscenza degli sviluppi possa contribuire ad una maggiore comprensione dei fatti.

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