La redazione di The Journal ha avuto il piacere di partecipare all’evento “Viaggio nella complessità della vita”, organizzato da Radio Parlamentare, per descrivervi al meglio il cambiamento climatico e come tale fenomeno possa coinvolgere le nostre vite sia al giorno d’oggi, sia in futuro.
Quali sono i possibili e probabili sviluppi del cambiamento climatico? Quale impatto avranno sul nostro territorio, sulle nostre concezioni riguardo ciò che ci circonda e, ultimamente, sulle nostre vite?
A tutto ciò ci risponderà Roberto Battiston, ex presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), professore ordinario di Fisica Sperimentale, attualmente presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, e dal 2019 membro del consiglio di amministrazione della GSA (Agenzia dell’Unione europea per il programma spaziale), in rappresentanza del Parlamento europeo.
“Buongiorno professore. Vorremmo porle qualche domanda sulle connessioni invisibili tra i cambiamenti climatici e la biodiversità, temi di cui lei si occupa in maniera molto impegnata.”
“Certo. Oggi il discorso si è concentrato su temi più generali, ma ci sono svariati problemi, più nello specifico, in buona parte generati dall’attività umana. Uno è il cambiamento climatico, l’altro è l’inquinamento, di cui si parla ormai poco ma è sempre presente. Non sono da dimenticare il fenomeno delle specie invasive, ovvero l’avere trasportato specie non native da una zona all’altra, e poi la perdita di biodiversità. Tutte queste sono aspetti diversi, che hanno origini diverse, ma interagiscono fra di loro. Per esempio, se avviene una perdita di biodiversità perché l’ambiente è diventato meno adatto alla sopravvivenza di alcune specie animali o vegetali, il cambiamento climatico costringe tali specie a spostarsi, ovviamente in modo diverso. Gli animali si spostano “fisicamente”, passando da una zona all’altra, le piante, invece, spostando i semi e quindi tramite generazioni successive. Ovviamente, se c’è bisogno di spostarsi ma il territorio è molto frammentato, il rischio di perdita di biodiversità è molto forte. Non solo, il termine biodiversità rappresenta anche la capacità stessa di adattarsi a nuove condizioni: senza la biodiversità, si corre il rischio di avere dei sistemi che sono molto più fragili. La maggior parte di questi problemi sono generati in buona parte dalla nostra attività, con origini chiaramente varie, ma che cospirano fra di loro e quindi spesso hanno la necessità di essere affrontati insieme.”

“Questi modelli climatici, che ad oggi sono sempre più all’avanguardia, in che modo possono prevedere l’impatto su risorse naturali, di cui oggi si parla di diritti di cronaca?”
“Buona parte di quello che noi sappiamo sul cambiamento climatico e sul cambiamento degli ecosistemi viene dai dati, che sono la sorgente primaria di informazione. Ormai ne abbiamo tantissimi sia provenienti dal suolo, sia dati satellitari, soprattutto negli ultimi 30 anni. I satelliti della NASA e i Sentinel europei stanno fornendo un quadro aggiornato di quello che sta succedendo. I modelli sono, se vogliamo, interpretazioni matematiche, fisiche, basate sul meglio che sappiamo, ma sono comunque delle proiezioni: sono degli scenari, che vanno presi con attenzione, stando attenti a cosa sono in grado di dire e cosa invece rimane ancora ignoto. Per esempio, i modelli sulle temperature, sono molto credibili per quanto riguarda previsioni su grande scala. Sulla precipitazione a piccola scala o sugli ecosistemi siamo ancora in una fase di transizione, nella quale si cerca di ricavare quanto più possibile combinando i dati con i modelli. Si sa già molto rispetto a dieci e soprattutto vent’anni fa, ma c’è ancora tanto lavoro da fare.”
“Quali sono le nuove sfide sulla modalizzazione di questi modelli?”
“Secondo me, tre sono le principali: la prima sono le nubi. Le nubi sono molto importanti nel clima e non abbiamo ancora capito precisamente quale ruolo svolgono nel complesso. L’altro è, come accennavo prima, gli ecosistemi, che sono particolarmente difficili da descrivere. Possediamo delle leggi fisiche molto utili per analizzare i fluidi, i moti dell’atmosfera e dell’oceano, ma non abbiamo le equazioni di una foresta o di un ecosistema marino. Nonostante ciò, in questi ultimi anni c’è moltissimo lavoro che, a mio parere, è diretto nella giusta direzione. Per esempio, recentemente il nostro team si è occupato di quello strato che a volte viene chiamato zona critica, il suolo fra gli acquiferi e la cima delle vegetazioni: per adesso le conoscenze che abbiamo su questo argomento e sulle sue implicazioni e impatto sull’ambiente circostante sono ancora grossolane, e c’è ancora molto lavoro da fare, ma siamo sulla buona strada”.
A cura di Tommaso Bernardini ed Emanuele Caracci, in nome di Artista News