L’ITALIA CHIAMÒ…E RINGHIO RISPOSE PRESENTE

Nello scorso giugno, in seguito al sollevamento di Luciano Spalletti dall’incarico di CT della Nazionale Italiana di calcio, congedatosi con una vittoria per due a zero sulla modesta Moldova (unica ancora 0 punti nel Gruppo I), successiva ad una sonora sconfitta in terra norvegese che ha, con tutta probabilità, condannato gli Azzurri all’ennesimo spareggio, fu chiamato a sedere sulla panchina dell’Italia Gennaro “Ringhio” Gattuso. Il quarantasettenne, ex campione del mondo nel 2006, non ha esitato ad accogliere la proposta e si è imbarcato nell’ennesimo viaggio disperato della sua carriera da allenatore, dove più volte ha ricoperto il ruolo di traghettatore o di uomo della provvidenza in situazioni che definire angoscianti sarebbe eufemistico, tra dirigenze confuse, stipendi non pagati e squadre raccolte a metà campionato con aspettative e speranze già disilluse.

Detto fatto, Rino con il suo carattere ferrigno e la sua schiettezza, sembra aver riportato qualche speranza per tutti gli appassionati del gioco del pallone, presentando un modulo rivisitato con l’introduzione delle due punte centrali e un’audacia, almeno all’apparenza, ritrovata. Dieci gol in due partite, equamente distribuiti tra la gara di Bergamo contro l’Estonia e quella in trasferta contro la rappresentanza di Israele, match che è stato, tra le altre cose, preceduto da polemiche social ingenerose sulla scelta di Gattuso di far scendere in campo i propri ragazzi, come se non bastasse il clima già instabile.

Vanno annoverati i quattro gol, due autogol degli stessi azzurri, subiti nella seconda sfida, che placano gli entusiasmi e ci ricordano che, nonostante i sei punti in due gare, c’è ancora molto da lavorare. Ma almeno si è tornati a segnare e soprattutto si è tornati a far divertire lo spettatore davanti allo schermo, riaccendendo la speranza che si possa finalmente tornare a giocare la più importante competizione del panorama calcistico internazionale, quella Coppa del Mondo che nel 2026 avremo alzato ormai venti anni fa, e scongiurare la possibilità che tra quattro anni esista un’intera generazione di ragazzi italiani, ormai diciottenni, che non avrà memoria di un’Italia al Mondiale nella propria vita, con una qualificazione che manca dal 2014.

Non resta che sedersi davanti allo schermo e guardar rotolare il pallone, sperando che Ringhio possa essere l’uomo giusto per tirarci via da questo limbo sportivo di dantesca memoria. Al campo l’ultima parola, come sempre.

A cura di Carmine Barretta

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