Il ruolo della migrazione per l’adesione della Bosnia all’UE

La Bosnia ed Erzegovina ha subito un forte spopolamento dovuto all’emigrazione, e questo rischia di lasciarle cicatrici con forti ricadute. Soprattutto se vogliamo considerarla come possibile futuro membro dell’Unione Europea. 

Il concetto di migrazione viene definito dalle nazioni unite come un “atto di spostamento dal paese di propria nazionalità o residenza, ad un altro paese, così da diventare il nuovo luogo di residenza usuale”. Ovvero, persone che si spostano dal loro paese di origine ad un altro. In certe situazioni la migrazione viene fatta in massa, per cercare altrove una condizione di vita migliore. Questo succede durante e dopo una crisi, che sia di natura politica o economica. La Repubblica di Bosnia ed Erzegovina ne è un esempio emblematico: negli ultimi decenni ha subito un forte calo demografico, perdendo circa un milione di abitanti nell’arco di dieci anni, rispetto agli attuali 3,1 milioni. Un dato legato anche alle conseguenze del suo passato storico.

La Bosnia faceva parte della Repubblica di Iugoslavia fino al 1992, quando, il primo marzo, la popolazione della Repubblica Serba e quella della Federazione di Bosnia ed Erzegovina furono chiamate a votare per il referendum sull’indipendenza. La Serbia, che non accettò l’esito e rivendicava la tutela dei cittadini serbo-bosniaci, alimentò lo scoppio del conflitto. Ne seguì una guerra interna tra Serbi, Croati e Bosniaci, che provocò l’assedio di Sarajevo, il genocidio di Srebrenica, oltre 93.000 vittime e l’intervento dei caschi blu inviati dall’ONU. Fu uno dei conflitti più tragici degli anni Novanta, conclusosi con gli Accordi di Dayton del 1995, che sancirono i confini interni dello Stato tra la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica Serba.

Le conseguenze di quella guerra sono ancora oggi visibili: tra le tante, l’emigrazione del popolo bosniaco verso i paesi vicini.

Durante la guerra, infatti, molti bosniaci di religione musulmana, sono stati obbligati a scappare. Le destinazioni europee più ricercate dai rifugiati di guerra in Europa erano la Germania, l’Austria – che non impose il rimpatrio al termine del conflitto – la Francia, e la Svezia. La generazione successiva, in alcuni di questi paesi di accoglienza, ha potuto richiedere la cittadinanza. Per questo motivo, oggi la diaspora bosniaca è molto ampia, ma mantiene un forte legame con la terra d’origine: il ritorno in patria è diventato parte integrante della cultura della comunità bosniaca all’estero. Spesso questo ritorno avviene in automobile, rigorosamente un mezzo capace di affrontare sia le strade bianche della Bosnia che le autostrade tedesche. Un ritorno che emerge anche nella musica, come nel brano Moja Pjesma di Dino Merlin.

I giovani che sono rimasti in Bosnia non sono tanti, contrariamente a quelli che sono partiti. La popolazione giovanile continua a diminuire e spesso guarda all’estero per trovare migliori opportunità, pur conservando la prospettiva di tornare ogni volta che è possibile: per l’Eid, per il Capodanno o per i matrimoni. Si tratta di una generazione che emigra in Europa, scopre come funziona l’UE e ne eredita i benefici: la libera circolazione garantita da Schengen, il mercato unico e le opportunità che ne derivano. I Bosniaci entrano così in contatto con una realtà diversa.

La Bosnia ed Erzegovina è un paese candidato all’UE, nonostante non abbia ancora soddisfatto tutti i criteri di Copenaghen. Resta comunque un Paese i cui giovani coltivano una forte aspirazione all’integrazione europea, perché già abituati a vivere quotidianamente l’Europa e a riconoscerne i vantaggi. Ma esiste anche chi tutto ciò non lo ha mai conosciuto, ed è sempre rimasto in Bosnia. Principalmente gli anziani, persone che hanno dovuto lottare per la loro indipendenza. Chi rimane spesso non parla inglese, è distante dall’Unione e non ne comprende appieno i privilegi.

Se oggi si tenesse un referendum in Bosnia ed Erzegovina sull’adesione all’UE, è difficile immaginare un risultato esclusivamente favorevole. Probabilmente, tra la diaspora bosniaca in Europa emergerebbero due principali categorie: da un lato, chi voterebbe senza esitazione a favore dell’adesione; dall’altro, chi, avendo già un passaporto europeo, non si sentirebbe particolarmente coinvolto nell’integrazione della Bosnia. In alcuni casi, c’è addirittura chi ha dovuto rinunciare alla cittadinanza bosniaca e non ha più diritto di voto.

Tuttavia, rimane comunque una responsabilità del paese fare passi avanti nel processo d’integrazione: è la Bosnia a doversi mettere in gioco. Non è lo stesso definirsi volontario e candidato, o dimostrarsi concretamente un Paese integrato. La diaspora Bosniaca ha certamente un ruolo per motivare il proprio paese in questa direzione, ma il fenomeno migratorio che perdura da ormai trent’anni mette a dura prova questo obiettivo.

A cura di Jasna Bratina

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