Il 2 settembre 2025, Hanoi si è svegliata con un’atmosfera sospesa tra solennità e festa nel giorno della festa nazionale del Vietnam (in vietnamita Ngày Quốc Khánh), in cui il Paese ha celebrato l’ottantesimo anniversario della sua indipendenza. Il cuore della capitale, la storica piazza Ba Đình, è tornato a essere teatro di un rito collettivo che affonda le sue radici nella drammatica storia del Novecento asiatico. In quello stesso luogo, esattamente ottant’anni prima, Hồ Chí Minh proclamava al mondo la nascita della Repubblica Democratica del Vietnam, con un discorso che mescolava riferimenti alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti e ai principi della Rivoluzione francese. Quella dichiarazione fu l’atto di nascita di un progetto nazionale a lungo inseguito, segnando la fine simbolica di un secolo di dominio straniero.
Per comprendere la forza simbolica della manifestazione del 2025 – e la partecipazione popolare che l’ha accompagnata – è necessario tornare a quegli anni in cui il Vietnam cercava faticosamente di scrollarsi di dosso il peso della colonizzazione. Alla fine del XIX secolo, l’Impero coloniale francese aveva esteso il proprio controllo sull’Indocina – comprendente l’attuale Vietnam, il Laos e la Cambogia – imponendo un’amministrazione diretta e profondamente repressiva. Il territorio vietnamita fu diviso in tre regioni (Tonchino, Annam e Cocincina), con status giuridici diversi ma tutte soggette a una gerarchia coloniale che favoriva gli interessi economici francesi, sfruttando risorse agricole, miniere e manodopera a basso costo.
Il dominio coloniale non fu solo economico, ma anche culturale e politico: l’élite locale fu parzialmente cooptata attraverso un’educazione di stile francese, mentre ogni tentativo di resistenza armata fu sistematicamente represso. Tuttavia, nel corso degli anni Venti e Trenta del Novecento, in un clima globale segnato dal fermento anticoloniale, iniziarono a emergere movimenti di ispirazione socialista e nazionalista, tra cui quello guidato da Nguyễn Ái Quốc – meglio conosciuto come Hồ Chí Minh. La sua formazione marxista-leninista, maturata tra Parigi, Mosca e Canton, gli permise di pensare la lotta per l’indipendenza non come semplice ribellione anticoloniale, ma come rivoluzione totale, capace di rifondare lo Stato su basi popolari e socialiste.
Lo scoppio della Seconda guerra mondiale rappresentò una svolta decisiva. Nel 1940, la Francia, ormai sotto il controllo del governo collaborazionista di Vichy, consentì al Giappone imperiale di occupare militarmente l’Indocina, mantenendo però formalmente la propria amministrazione. Questa duplice dominazione rese ancora più fragile la condizione del Vietnam e provocò una crisi profonda, culminata con la devastante carestia del 1944-1945, durante la quale morirono di fame oltre un milione di vietnamiti. Il potere coloniale perse definitivamente la sua legittimità, mentre cresceva l’influenza del Viet Minh, il fronte d’unità nazionale guidato da Hồ Chí Minh, che univa comunisti e patrioti in una lotta comune.
Il vuoto di potere creato dal crollo giapponese nell’agosto del 1945 fu sfruttato con abilità dal Viet Minh: in meno di un mese, grazie a una serie di insurrezioni coordinate note come Rivoluzione d’Agosto, il movimento riuscì a prendere il controllo di gran parte del territorio vietnamita, entrando vittorioso ad Hanoi. Il 2 settembre, di fronte a una folla immensa riunita nella piazza Ba Đình, Hồ Chí Minh lesse la Dichiarazione d’Indipendenza della Repubblica Democratica del Vietnam. Quel discorso fu un gesto di rottura e al tempo stesso di rivendicazione: il popolo vietnamita si dichiarava finalmente sovrano, facendo appello ai valori universali che i colonizzatori avevano tradito.
La storia successiva, però, avrebbe dimostrato quanto fosse fragile quell’indipendenza appena proclamata. La Francia, decisa a riprendere il controllo della sua colonia più redditizia, non riconobbe la nuova repubblica e tornò con la forza nel Sud del paese. Iniziava così la prima guerra d’Indocina (1946-1954), un conflitto brutale che si concluse con la sconfitta francese a Điện Biên Phủ e con gli Accordi di Ginevra, che divisero temporaneamente il Vietnam in due Stati: al nord, la Repubblica Democratica guidata da Hồ Chí Minh; al sud, un governo filo-occidentale sostenuto dagli Stati Uniti. Seguirà un altro conflitto devastante – la guerra del Vietnam – che terminerà solo nel 1975 con la riunificazione del paese sotto il controllo del Partito Comunista.
Il significato dell’indipendenza proclamata nel 1945, dunque, non si esaurisce in quell’atto iniziale. È piuttosto il punto di partenza di un processo lungo, doloroso e spesso violento, durante il quale il popolo vietnamita ha dovuto combattere non solo contro il dominio straniero, ma anche per l’autodeterminazione politica, la sovranità economica e la ricostruzione postbellica. In questo senso, la celebrazione dell’anniversario nel 2025 non è un semplice esercizio retorico, ma un rito collettivo di memoria e identità, che interroga il presente e i suoi fenomeni quali la globalizzazione e la drammatica dinamicità delle relazioni internazionali.
Il corteo del 2 settembre 2025 ha visto sfilare migliaia di persone, in un misto di commemorazione e spettacolo. I simboli storici – il ritratto di Hồ Chí Minh, le immagini dei combattenti partigiani, le bandiere rosse con stella gialla – si sono intrecciati con rappresentazioni della modernità vietnamita: studenti, lavoratori, soldati, artisti e atleti hanno dato vita a una narrazione visiva della nazione in cammino. Non è mancata la componente militare, con una parata che ha incluso veicoli blindati e unità dell’esercito, a sottolineare il valore della difesa nazionale in un contesto geopolitico tutt’altro che pacificato.
In definitiva, la grande manifestazione di Hanoi del 2 settembre 2025 è stata molto più di una celebrazione commemorativa. È stata un esercizio di storia vivente, in cui il passato coloniale e rivoluzionario è stato evocato non solo per essere onorato, ma anche per essere interrogato. A ottant’anni dalla sua proclamazione, l’indipendenza del Vietnam resta per il popolo vietnamita una conquista da difendere.
A cura di Tommaso Orsi