Cinque premier in venti mesi e il movimento Bloquons Tout nelle piazze. Cosa sta succedendo in Francia?

Proteste, spazzatura in fiamme e metropolitane bloccate. La Francia è in subbuglio. Venerdì 26 settembre si è verificato l’ennesimo sciopero nazionale. Non è certo una novità per il Paese d’Oltralpe, dove le grèves rappresentano un tratto quasi endemico della cultura politica; eppure, questa volta, qualcosa è cambiato. In venti mesi si sono succeduti cinque diversi primi ministri, alimentando quella instabilità che da sempre segna la nostra storia politica, non quella del nostro vicino. Intanto le piazze, da Parigi a Marsiglia, si infiammano sotto la spinta di un nuovo movimento di protesta, il “bloquons tout” (“blocchiamo tutto”). Ma come si è arrivati a questo punto?

I promotori principali sono stati due: da un lato la crescita inesorabile dei partiti estremisti, sia di destra che di sinistra, a scapito di posizioni più moderate; dall’altro, un deficit del 5,8%, ben oltre il limite del 3% imposto dall’Unione europea, e un debito pubblico al 113% del PIL. E proprio la questione del bilancio ha portato alle dimissioni del primo ministro François Bayrou il 9 settembre 2025, subentrato appena 10 mesi prima a Michel Barnier, caduto quasi specularmente per una mozione di sfiducia parlamentare legata al budget di fine anno.

All’epoca Bayrou fu incaricato da Macron di risanare i conti pubblici, un compito che lui stesso aveva definito paragonabile alla scalata dell’Himalaya. A tal fine, il primo ministro aveva messo a punto un piano di risparmi da 44 miliardi di euro. Il piano avrebbe implicato soprattutto tagli al welfare pubblico, tra cui un’importante proposta di soppressione di due giorni feriali. Proprio su questa riforma di taglio alle spese, Bayrou aveva richiesto il voto di fiducia all’Assemblée Nationale (il parlamento francese), pur consapevole che non l’avrebbe mai ottenuto, in una sorta di immolazione alla patria votata a risvegliare gli animi del paese sul tema del debito pubblico. Nel suo discorso di addio, Bayrou ha ricordato che “la sottomissione al debito è come la sottomissione tramite la forza militare”, porta all’inevitabile perdita di libertà. Ha poi concluso, rivolgendosi ai suoi colleghi: “avete il potere di rovesciare il governo” ma non di “cancellare la realtà”. 

Con 364 voti contrari e 194 a favore, non c’è stato nulla da fare: il primo ministro è stato schiacciato da una nettissima sconfitta alla quale i leader di entrambe le sponde politiche si sono appellati per indire nuove elezioni. Eppure, i sondaggi recenti indicano che un voto oggi porterebbe ad un’assemblea paralizzata tra la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon e quella di destra di Marine Le Pen. In questo scenario di crisi, meno di 24 ore dopo le dimissioni di Bayrou, il Presidente Macron ha nominato un nuovo premier: Sébastien Lecornu, ministro delle forze armate. Ma, sin dall’inizio, Mélenchon e Le Pen si sono dimostrati indisponibili ad una collaborazione col nuovo primo ministro, lamentando una marcata continuità con l’impopolare governo uscente e troppa vicinanza al presidente Macron. 

Lecornu, di trent’anni più giovane rispetto a Bayrou, ha subito ritirato la controversa proposta del suo predecessore di sopprimere due giorni feriali annui. Fin dal suo insediamento, ha inoltre annunciato un “grande atto di decentralizzazione”, che costituirà il fulcro di un disegno di legge volto a “definire con precisione le competenze di ciascuno ed evitare la dispersione delle responsabilità”. L’obiettivo era quello di rafforzare il ruolo degli enti locali eletti, ai quali ha chiesto di presentare, entro il 31 ottobre, una propria proposta di riforma della decentralizzazione, così da dar vita ad un progetto di legge “più in sintonia con la società civile”.

Eppure, tutto ciò non è bastato. Oggi, lunedì 6 ottobre, dopo neanche un mese dal difficile compito di formare un nuovo governo con un parlamento pressoché paralizzato, Sébastien Lecornu si è dimesso. Solo ieri sera, alle ore venti, il primo ministro ha annunciato la composizione del nuovo governo o, più precisamente, la sua riconferma, poiché i principali ministri sono rimasti gli stessi dell’esecutivo precedente. Una scelta che ha suscitato critiche tanto da destra quanto da sinistra, accusata di voler mantenere una continuità ormai contestata. L’unico segnale di apertura sembrava provenire dal Partito Socialista, che tuttavia si è mostrato riluttante all’idea di partecipare a un nuovo governo.

Come sfondo a queste difficoltà è sempre stato presente il movimento bloquons tout, nato organicamente sui social e Telegram sull’onda del malcontento contro l’inflazione e le misure di austerità. E alle proteste spontanee del 10 settembre si sono poi uniti i sindacati, che ora chiedono a gran voce un aumento della tassazione sui grandi patrimoni, esercitando una forte pressione sul neopremier. Infatti, il tema della forbice sociale è centrale nella Francia di oggi. Secondo la rivista Challenges, tra il 1966 e il 2025 il patrimonio dei 500 più ricchi di Francia è aumentato di 14 volte. 

Proprio in questa prospettiva si inserisce la proposta di Gabriel Zucman, brillante economista francese e vincitore della prestigiosa John Bates Clark Medal, che suggerisce di introdurre una tassa del 2% sui redditi delle fasce più abbienti della popolazione. La proposta ha scatenato un ampio dibattito pubblico contro l’“1%” di Francia, che comprende figure come Axel Dumas (Hermès) e Bernard Arnault (LVMH), veri e propri imperatori della moda. Sul fronte opposto, Marine Le Pen propone invece di attingere ai fondi destinati alle politiche migratorie per contribuire al risanamento delle finanze pubbliche.

In questo quadro politico, è facile comprendere la gravità della crisi che sta attraversando la Francia, specialmente nel turbolento contesto internazionale, in cui il presidente Macron sta cercando di rivendicare un ruolo di mediatore e di ufficioso rappresentante dell’Unione europea. Ma Bruxelles è sempre più attenta a ciò che sta avvenendo a Parigi, per paura che possa influenzare il resto del continente.

L’ultima volta che il Paese versò in una tale instabilità politica nacque la Quinta Repubblica. Era il 1958 e in undici anni si erano susseguiti venti diversi primi ministri. Scongiurando la possibilità di una Sesta Repubblica, rimane il fatto che Lecornu è il quinto primo ministro dimissionario in venti mesi, con un parlamento pressoché paralizzato, un grave deficit di bilancio e un sistema partitico polarizzato tra estremismi di destra e di sinistra. Macron è chiamato ad una scelta delicata quanto decisiva: indire le elezioni senza chiare prospettive di governo. La sua prossima mossa deciderà il futuro del suo Paese, ma anche gli equilibri europei. Scacco matto?

A cura di Paola Emilia Castelli 

BIBLIOGRAFIA

  • Cristiana Raffa, Francia, come si svolge il voto di fiducia al governo Bayrou e quali scenari si aprono, RaiNews, 8 settembre 2025.
  • Roger Cohen, French Government Collapses, Again, Deepening Paralysis, The New York Times, 8 settembre 2025.
  • Décentralisation : Sébastien Lecornu attend les propositions des élus locaux avant le 31 octobre, Le Monde, con AFP, 22 settembre 2025.

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