Il futuro di Gaza: l’American dream passa per Tony Blair?

Mentre la Casa Bianca svela il proprio ambizioso piano in 21 punti per il futuro della Striscia di Gaza, il progetto di amministrazione di transizione, affidato alla nascente Gaza International Transitional Authority (GITA), solleva preoccupazioni immediate. A dispetto dell’obiettivo dichiarato di un futuro governo “palestinese, tecnocratico e apolitico”, la bozza del piano, pubblicata da Haaretz, rivela una struttura in cui il potere sostanziale è detenuto da un Consiglio Internazionale composto in gran parte da miliardari e figure finanziarie internazionali vicine a Washington e Tel Aviv. L’elemento più controverso è la figura caldeggiata per presiedere questo Consiglio: Tony Blair. L’ex premier britannico, il cui curriculum mediorientale include la contestata guerra in Iraq e un ruolo da inviato del Quartetto aspramente criticato per l’eccessiva vicinanza a Israele, sembra essere il più papabile candidato alla dirigenza di questo ambizioso piano, sebbene ampiamente considerato divisivo.   

Lunedì la Casa Bianca ha divulgato un piano in 21 punti che si propone di mettere fine al conflitto e delineare i caratteri della futura ricostruzione ed amministrazione di Gaza. Le condizioni a priori per l’attuazione del programma includono la deradicalizzazione della Striscia e la liberazione della stessa dal terrorismo, oltre al rilascio da parte di Hamas di tutti gli ostaggi entro 72 ore dall’accettazione da parte di Israele del suddetto accordo. Successivamente, Israele rilascerebbe 150 condannati all’ergastolo e 1700 gazawi imprigionati dal Paese a partire dal 7 ottobre 2023; ai membri di Hamas disposti che deporranno le armi verrà concessa amnistia e a coloro che volessero lasciare Gaza verrebbe garantito un corridoio sicuro verso altri Paesi di accoglienza. Viene specificato che nessuno verrà obbligato a lasciare Gaza e, anzi, verrà elaborato un piano di sviluppo economico da Trump ed un gruppo di esperti. Gli Stati Uniti collaboreranno con partner arabi e internazionali per l’instaurazione immediata di una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) temporanea, che contribuirà ad impedire l’ingresso di munizioni nella Striscia e favorire il flusso rapido e sicuro di merci per la ricostruzione. Israele non annetterà territori palestinesi e le Forze di Difesa Israeliane (IDF) cederanno progressivamente il territorio di Gaza alle ISF secondo un accordo che verrà stipulato con l’autorità di transizione, ad eccezione di un perimetro di sicurezza che rimarrà fin quando Gaza non sarà protetta adeguatamente da minacce terroristiche. 

Il Piano tocca anche il punto riguardante il futuro governo di Gaza: un comitato “palestinese, tecnocratico e apolitico”, composto da palestinesi “qualificati” ed esperti internazionali.

Haaretz ha pubblicato una bozza della struttura della Gaza International Transitional Authority (GITA). Al vertice dell’autorità si insedierebbe un Consiglio Internazionale che deterrebbe l’autorità politica e legale suprema su Gaza. Questo consiglio includerebbe sia alti funzionari dell’ONU, che figure internazionali di spicco e con esperienza esecutiva e finanziaria. Nella bozza vengono citati come esempi Marc Rowan, miliardario proprietario di una delle società finanziarie più grandi degli USA, Naguib Sawiris, miliardario egiziano attivo nel settore delle telecomunicazioni e della tecnologia, e Aryeh Lightstone, amministratore delegato dell’Abraham Accords Peace Institute. Quest’ultimo, in particolare, risulta coinvolto nella creazione della ampiamente criticata Gaza Humanitarian Foundation. Inoltre, è stato consigliere di David Friedman, ex ambasciatore americano nonché sostenitore del movimento degli  insediamenti israeliani illegali. Inizialmente, gli alti funzionari della GITA non sarebbero nemmeno basati a Gaza, ma in hub regionali dislocati, prevedendo una piena operatività nell’enclave solo nel terzo anno. La bozza menziona la presenza di almeno un rappresentante palestinese proveniente dal settore economico o della sicurezza. 

Il presidente del Consiglio Internazionale verrebbe scelto per “consenso internazionale” in prima istanza, e verrebbe poi approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU (il consenso palestinese non è menzionato). Il chairman svolgerebbe il ruolo di portavoce principale, dirigente politico senior e coordinatore strategico. 

Solamente alla base di questa struttura si collocherebbe la Palestinian Executive Authority. Una fonte israeliana ha dichiarato ad Haaretz che la “quota palestinese” risulterebbe completamente subordinata al Consiglio internazionale, oltre che separata dall’Autorità Nazionale Palestinese, che amministra alcune zone della Cisgiordania occupata. Per di più, tutte le nomine palestinesi, sarebbero sottoposte al rigido veto del Consiglio, in base a standard di competenza e, soprattutto, di “neutralità politica“. 

Il nome di Tony Blair, primo ministro inglese dal 1997 al 2007, è favorito per la presidenza del Consiglio Internazionale GITA, sebbene il suo nome non sia esplicitamente presente nella bozza. Figura profondamente legata agli affari mediorientali, Blair ha condotto il proprio Paese in guerra in Iraq al fianco degli Stati Uniti di George W. Bush e, dal 2007 al 2015, è stato inviato per il Quartetto per il Medio Oriente, organizzazione di cui fanno parte Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite, finalizzata a trovare soluzioni per il conflitto israelo-palestinese. Il suo lavoro durante il mandato è stato aspramente criticato: ad esempio, l’ex capo negoziatore dell’Autorità Palestinese, Nabil Shaath, lo accusò di aver raggiunto risultati scarni a causa della sua eccessiva compiacenza verso Israele. Nomi Bar-Yaacov, ex negoziatrice internazionale per la pace, ha dichiarato che l’ex primo ministro non gode della fiducia dei palestinesi, soprattutto a causa del suo mandato al Quartetto. Dal 2015 in poi Blair ha continuato ad occuparsi di Medio Oriente tramite il suo Tony Blair Institute for Change e, successivamente, ha collaborato sia con Jared Kushner, genero di Trump ed ex consigliere dello stesso, e Ron Dermer, consigliere chiave del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Insomma, forse non la figura più adatta a rappresentare la GITA “in tutti i forum diplomatici, dei donatori e intergovernativi” e a dirigere la strategia diplomatica dell’ente. 

A cura di Elena Rapisarda

Sitografia:

https://img.haarets.co.il/bs/00000199-91d1-dc12-a5df-99dbab200000/92/aa/ba8288df45af907255ae16fafa34/blair-plan.pdf

https://www.middleeasteye.net/news/breakdown-tony-blairs-bizarre-proposal-run-gaza

https://www.aljazeera.com/opinions/2025/10/1/trumps-gaza-board-of-peace-promises-tony-blair-yet-another-payday

https://www.theguardian.com/commentisfree/2025/sep/30/tony-blair-jared-kushner-gaza-plan-catastrophe

https://www.ilpost.it/2025/09/30/blair-striscia-di-gaza/

https://www.bbc.com/news/articles/c89d5938w3ko

https://www.bbc.com/news/articles/c70155nked7o

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