Nel silenzio della comunità internazionale attorno alla tragedia umanitaria in corso in Sudan, un appello quanto mai allarmante arriva da Ginevra, dove lo scorso 14 Novembre si è tenuta la trentottesima sessione speciale del Consiglio per i diritti umani dell’ONU.
Al termine della riunione è stato espresso un voto unanime per l’apertura di un’indagine ufficiale, volta ad identificare i responsabili dei presunti crimini commessi ad El-Fasher. Questa risoluzione potrebbe segnare una svolta per la valutazione penale del conflitto di cui sarà incaricata la Corte Internazionale dell’Aia. Tuttavia, non si può comprenderne a fondo l’importanza senza prima fare un passo indietro e ripartire da dove, quando e perché tali atrocità sono state compiute.
A cominciare dal 15 Aprile 2023, il Sudan è diventato il retroscena di una cruenta guerra civile formalmente combattuta tra l’esercito delle Forze Armate Sudanesi (SAF) e il gruppo paramilitare delle Forze di Supporto Rapido (RSF). Le due fazioni, da quasi tre anni in lotta per assicurarsi la supremazia nel paese, condividono in realtà un passato di alleanza. Nel 2019 le due schiere hanno deposto assieme il regime trentennale di Al-Bashir, instaurando un governo di transizione costituito da una giunta civile-militare. A rompere il comune accordo, è stata tuttavia la richiesta da parte delle SAF, guidate dal comandante Abdel Fattah al-Buhran, di assimilare le RSF nelle proprie schiere. Tale proposta ha difatti trovato la fiera opposizione del capo delle RSF Mohammed Hamdan Dagalo (meglio noto come Hemedti), consapevole che qualora avesse acconsentito, avrebbe perso gran parte del proprio prestigio.
La guerra in corso, dunque, è riconducibile ad uno scontro per il potere tra due fazioni rivali un tempo amiche (almeno formalmente). Nonostante ciò, essa ha assunto i tratti di un conflitto di matrice etnica sorprendentemente simile a quello già avvenuto nel Darfur nel 2003. In verità, di “sorprendente” in questo paragone vi è poco o nulla. Le RSF, infatti, sono dirette discendenti dei cosiddetti Janjaweed, i “diavoli a cavallo”, che per conto dell’allora presidente Al Bashir avevano condotto una spaventosa pulizia etnica contro i principali gruppi non musulmani della regione, nel tentativo di “arabizzarla”.
Proprio nel Darfur, la cittadina di El-Fasher è stata conquistata dalle RSF lo scorso 26 ottobre dopo diciotto, estenuanti, mesi d’assedio. Come un incubo tornato a perseguitarli, gli stessi gruppi non arabi sono ora sistematicamente presi di mira. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha stimato che dei 260.000 abitanti di El-Fasher, almeno 82.000 siano fuggiti nel tentativo disperato di trovare rifugio. Tuttavia, sono poche più di 10.000 le persone che risulterebbero per ora arrivate presso il campo di Tawila, uno dei principali centri di accoglienza nell’area. L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha dichiarato l’allarmante possibilità che le decine di migliaia di rifugiati dispersi siano bloccate in qualche località ed esposte a continue minacce.
La gravità dei crimini perpetrati a El-Fasher è stata evidenziata anche dall’Humanitarian Research Lab dell’Università di Yale. Quest’ultimo ha realizzato un report attraverso le foto scattate dal cielo di El-Fasher nelle ore seguenti alla vittoria delle RSF. Le immagini satellitari mostrano decolorazioni del terreno riconducibili a macchie di sangue, pile di corpi umani, veicoli militari a bloccare le strade, nonché folle di gente in fuga.
Un’ulteriore testimonianza giunge dal Sudanese Doctors Network, il quale ha dichiarato che le RSF a El-Fasher stanno raccogliendo centinaia di corpi dalle strade per seppellirli in fosse comuni o bruciarli.
In risposta a simili documentazioni Volker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha lanciato un appello per rendere effettivo un embargo militare ed offrire sostegno alla popolazione civile colpita dal massacro. La tragedia in corso a El-Fasher era prevedibile, sostiene Turk, ricordando le decine di segnalazioni emesse dal suo commissariato solo nel 2025. Nessuna sorpresa dovrebbe quindi cogliere gli stati che volutamente non le hanno ascoltate, facendo sì che sulla comunità internazionale si spargesse una macchia ugualmente dannosa, benché meno visibile, del sangue rilevato dai satelliti.
Ora è necessario, ha poi concluso Turk, agire in maniera decisa ed efficace per evitare che una simile tragedia colpisca altre aree sotto il mirino delle RSF, prima tra queste il Kordofan. Quasi a voler dire che, se per gli stati è impossibile ormai eliminare quella macchia, è loro dovere impegnarsi affinché non si allarghi ulteriormente.
A cura di Sofia Mirri
SITOGRAFIA:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/11/10/genocidio-darfur-sudan-rsf-news/8190496/