Testimoniare l’invisibile: No Other Land

Dal dolore silenzioso alla dignità: la testimonianza come atto di resistenza etica

La terza volta sarà quella buona? Dopo numerosi rinvii, il docu-film “No Other Land” è stato finalmente trasmesso il 15 novembre su Rai 3. La messa in onda, inizialmente prevista per il 7 e successivamente per il 21 ottobre, ha suscitato polemiche e interrogativi. La giustificazione ufficiale, riportata dal direttore del Cinema e Serie TV Rai, Adriano De Maio, era che “la prevista collocazione del documentario non era in sintonia con il clima di speranza per la pace”. Critiche politiche hanno denunciato un rischio di censura e un tentativo di silenziamento delle violenze quotidiane contro il popolo palestinese .

Il film, pluripremiato, non racconta l’occupazione attraverso i consueti numeri e strategie militari, ma attraverso voci, case e vite sospese. Restituisce una visione tangibile delle ingiustizie strutturali quotidiane. Le demolizioni amministrative, le restrizioni burocratiche e la negazione dei permessi. Fenomeni invisibili alla politica internazionale, ma devastanti nella vita delle persone. Incarnano quel fenomeno denominato dal teorico Rob Nixon come “slow violence”: una violenza lenta e incrementale che utilizza la burocrazia stessa come arma per rendere l’esistenza della popolazione occupata precaria e illegale.

Di fronte a questa violenza sistemica e invisibile, filmare si trasforma in un gesto di profonda etica. Basel Adra, l’attivista e cineasta palestinese, testimonia queste realtà con un coraggio epistemico. La sua voce, come quella di molti palestinesi, è sistematicamente delegittimata e messa in discussione,  configurando una vera e propria ingiustizia della conoscenza. Tale  ingiustizia, perpetrata dagli stessi meccanismi istituzionali, è accentuata dall’uso della lingua da parte dei militari israeliani. Molti di essi, pur comprendendo l’arabo, fingono una barriera linguistica, utilizzandola selettivamente per ignorare, negare il dialogo o, al contrario, per ottenere informazioni solo quando “fa comodo”, trasformando la lingua stessa in un ulteriore strumento di potere e sottomissione.

Di conseguenza, il documentare di Adra non è un semplice reportage, ma la rivendicazione del diritto a raccontare e ad essere creduto. Egli non si limita a registrare la sofferenza, ma ridistribuisce autorità morale alla sua comunità, trasformando il documentario in uno strumento che rifiuta la disumanizzazione e l’invisibilità. Il film diventa così un atto etico prima che politico, dimostrando come la perseveranza nel documentare sia una forma di giustizia della testimonianza che sfida il silenzio imposto da un potere asimmetrico.

Tale rivendicazione narrativa è inscindibile dalla questione dell’agency individuale sotto occupazione. L’agency, in tale situazione, si riferisce alla capacità di un individuo o di un gruppo di agire in modo indipendente e di compiere scelte libere all’interno di strutture sociali, politiche e militari che ne limitano drasticamente le possibilità.

No Other Land mostra cosa significhi esercitare la libertà umana in un contesto di vincoli estremi. La resistenza della comunità di Masafer Yatta non passa per le armi, ma attraverso una tenace insistenza a rimanere e a ricostruire ciò che viene abbattuto.

L’agency in questa circostanza non è la capacità di vincere militarmente, ma la forza di persistere e agire nonostante la schiacciante asimmetria di potere. Sotto il peso congiunto della forza militare diretta e della violenza burocratica, la resistenza si manifesta trasformando atti quotidiani in gesti politici. Questa resistenza disarmata si fonda sulla presenza e sulla dignità, sfidando direttamente il tentativo del sistema occupante di rendere la vita palestinese insostenibile e di disumanizzare il popolo, spesso ridotto a mera “statistica” o a termini sprezzanti nei media occidentali.

È proprio nello sforzo di ri-umanizzazione che il film attinge all’emozione più profonda. Il momento in cui la madre piange per il figlio ferito da arma da fuoco e paralizzato, affermando che darebbe la sua vita per lui, è un passaggio emblematico. In quel gesto di dolore autentico e non censurato, si manifesta l’inalienabile dignità umana. È un sentimento materno universale che spezza la barriera della percezione occidentale, costringendo lo spettatore a riconoscere che sotto il peso dell’occupazione batte un cuore con la stessa vulnerabilità e profondità di un qualsiasi cuore umano. Il film usa la narrazione del corpo e dell’emozione per contrastare l’invisibilità e per costringere a riconoscere l’umanità che la violenza coloniale cerca di cancellare.

La disumanizzazione si combatte anche nello spazio e nel tempo. L’efficacia della slow violence si manifesta pienamente nella temporalità dell’ingiustizia, costringendo la popolazione a vite sospese e ad attese infinite in un limbo perpetuo di permessi negati. In questo scenario, la casa assume un significato che trascende la proprietà, elevandosi a diritto ontologico. La sua demolizione è un attacco diretto alla dignità, alla memoria, al fondamento stesso dell’identità e al futuro. La resistenza della comunità, che ricostruisce instancabilmente i rifugi abbattuti, è perciò una rivendicazione esistenziale contro la negazione di tale diritto.

L’analisi di questo conflitto intimo avviene attraverso le lenti delle relazioni interpersonali, rivelando la vera essenza di una intimità politica. Il legame di amicizia e la co-produzione tra Basel Adra (palestinese)e Yuval Abraham (israeliano) è un atto anti-sistemico che supera il concetto insufficiente di “coesistenza”. Riconoscendo l’asimmetria di potere, la loro collaborazione si configura come una micro-geopolitica: la politica si manifesta nella condivisione del rischio e nella costruzione di un fronte morale unito contro l’occupazione.

Il film si configura non solo come la cronaca di un conflitto, ma come un autentico atto di resistenza morale che impone un’estetica della resistenza: costringe a guardare e a riconoscere la dignità umana nella sofferenza più estrema.

Tutto ciò ci porta al tema del ruolo dello spettatore: No Other Land interpella il pubblico come agente morale. Guardare il film non è un atto passivo, ma l’assunzione di una responsabilità nei confronti della testimonianza offerta. Riconoscere la realtà narrata da Adra e dalla sua comunità significa rifiutare l’ignoranza e il silenzio, trasformando la consapevolezza acquisita in un impegno morale. Questo processo è essenziale per contrastare la disumanizzazione del popolo palestinese e la negazione sistematica dei loro diritti, dimostrando che la verità e la testimonianza sono il primo passo per sfidare l’asimmetria del potere.

A cura di Cristina De Luigi

FONTI

https://www.agi.it/cronaca/news/2025-10-22/nuovo-rinvio-no-other-land-rai-33799171/

Nixon, Rob. Slow Violence and the Environmentalism of the Poor. Cambridge, MA: Harvard University Press, 2011.

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