Moody’s promuove l’Italia: rating su. Il governo incassa. Ma l’economia, intanto, migliora?

Moody’s alza il rating italiano e certifica una ritrovata fiducia internazionale nel Paese. Una promozione che, nei fatti, suona anche come un riconoscimento al ministro Giorgetti per la gestione dei conti pubblici. Resta però il punto decisivo: mentre la finanza applaude, l’economia reale sta davvero facendo un passo avanti?

Moody’s—una delle tre principali agenzie di rating dei BTP insieme a Standard & Poor’s e Fitch—ha innalzato il giudizio sull’Italia da Baa3 a Baa2, indicando nella nostra economia un segnale di fiducia riconosciuto oltreconfine. Per comprendere fino in fondo l’evento serve un confronto storico: un aumento del rating da parte di Moody’s non arrivava dal 2002, quando al governo c’era Silvio Berlusconi. E vale la pena sottolineare anche un altro elemento, tutt’altro che cosmetico: il rating precedente era un gradino appena sopra il livello speculativo. Tradotto: fino a poco tempo fa il nostro Paese si muoveva su una linea sottile, con una credibilità finanziaria percepita come limitata.

Non è un episodio isolato. L’autunno è stato, di fatto, una stagione di aumenti: oltre a Moody’s, Fitch ha portato il rating a BBB+ con outlook stabile, mentre Standard & Poor’s ha confermato BBB+ con outlook stabile. In sintesi, il mondo finanziario sembra guardare all’Italia come a un Paese sempre più stabile e, almeno sulla carta, economicamente più solido.

Questo traguardo viene letto come un premio all’esecutivo, a cui viene attribuita la capacità di tenere i conti in ordine e di ridurre deficit e debito pubblico. I numeri degli ultimi anni alimentano questa interpretazione: nel 2025 è ricomparso un avanzo primario—la differenza tra entrate e uscite dello Stato, esclusi gli interessi sul debito—pari allo 0,9%, con una previsione di crescita fino all’1,9% nel 2028. In parallelo, è atteso un calo del deficit: da appena sotto il 3% attuale al 2,3% alla fine del prossimo triennio. E si prevede anche un abbassamento del debito sovrano fino al 136,4% nel 2028. A completare il quadro c’è la diminuzione dei crediti d’imposta come il Superbonus, che nel passato recente hanno fatto crollare i bilanci: un ridimensionamento che contribuisce a togliere l’Italia dalla lista dei sorvegliati speciali dell’UE e ad aumentare la fiducia conquistata nei mercati finanziari nel prossimo futuro.

Eppure, proprio mentre questi indicatori disegnano un profilo rassicurante, emerge la crepa più evidente: l’attuale governo fatica a costruire una vera politica industriale capace di produrre un’effettiva crescita del PIL, che resta fermo e manda segnali minimi di aumento. Le stime parlano chiaro: nel terzo trimestre del 2025 la crescita prevista è pari allo 0%, cioè nessuna crescita. E in questi giorni Eurostat ha evidenziato un dato che pesa: ci sono solo due Paesi in cui il reddito familiare pro capite è diminuito negli ultimi vent’anni, Italia e Grecia. Un sintomo di un’economia che continua a muoversi con fatica.

È qui che si impone la dicotomia: la finanza elogia il governo, mentre l’economia stenta a crescere e i salari non riescono a tenere il passo con l’aumento del costo della vita. Due serie di indicatori, due immagini che raccontano un Paese diverso. In campagna elettorale Meloni aveva ribadito spesso l’importanza di rimettere in ordine i conti statali, ma non era l’unico traguardo. Oggi, invece, sembra che l’obiettivo dominante sia compiacere l’Europa e incassare i complimenti delle agenzie di rating, sostenendo una manovra di bilancio sobria e contenuta.

Questo intreccio di risultati e fragilità apre domande inevitabili sulla linea del governo in termini di politica economica e su quale debba essere il passo successivo per migliorare la condizione reale di lavoratori e imprese. Con un PIL stagnante e un costo della vita in costante aumento, sembra servire una politica d’espansione che la manovra 2026 non sembra incarnare. E ci sono anche fattori esterni pronti a complicare il quadro: i dazi americani potrebbero essere un ulteriore colpo, imponendo la ricerca di nuovi mercati e nuove entrate, dal momento che uno dei nostri partner principali appare meno interessato al nostro export. A questo si aggiunge la difficoltà della Germania, principale partner europeo, che rischia di affossare ulteriormente le imprese.

 Insomma: i conti e i mercati possono anche apparire in ordine, perfino “in fiore”. Ma senza una spinta industriale significativa—che oggi fatica a restare a galla, anno dopo anno—la promozione delle agenzie rischia di restare una buona notizia per i listini più che per il Paese reale.

A cura di Giovanni Manassero

Fonti:

https://it.tradingeconomics.com/italy/indicators

https://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/teleborsa/economia/moody-s-premia-l-italia-rating-baa2-prima-volta-dopo-23-anni-5_2025-11-24_TLB.html#:~:text=L’agenzia%20Moody’s%2C%20dopo%2023,sopra%20del%20livello%20ritenuto%20speculativo.

https://www.ilsole24ore.com/art/moody-s-promuove-l-italia-rating-baa2-AHyY5gtD

https://www.ilsole24ore.com/art/eurostat-20-anni-reddito-familiare-pro-capite-sceso-solo-grecia-e-italia-AH4BtuwD

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