Introduzione:
Anche quest’anno la Redazione di The Journal Asp ha deciso di dar vita a una collaborazione con il laboratorio di scrittura accademica tenuto dalla Professoressa Lauretta Salvini. Crediamo vivamente che l’interesse circa quello che ci circonda sia prerogativa fondamentale da inserire nel nostro processo di crescita da studenti di Scienze Politiche. Come ogni secondo semestre, la Professoressa Salvini offre la possibilità di cimentarsi nella stesura di un testo persuasivo che possa portare alla luce i nostri malcontenti, rivestendoli di una connotazione positiva ai fini di far cambiare la nostra realtà. La stesura di un testo persuasivo deve essere caratterizzata dal corretto utilizzo di uno specifico stile scandito da figure retoriche e molto altro. In quest’ottica, la nostra Redazione, di comune accordo con la Professoressa, ha deciso di promuovere un argomento molto delicato, quanto veramente importante da analizzare: la disabilità rapportata all’inefficienza strutturale di una città che porta l’onere e l’onore di chiamarsi Roma. La nostra Capitale. È in noi predominante la volontà di sensibilizzare chi amministra la nostra città con l’auspicio che coloro che versano in una condizione di svantaggio rispetto a chi non presenta difficoltà possano iniziare o continuare a condurre una vita eguale avuto riferimento allo spostamento autonomo fra le vie di Roma.
Dunque, la Redazione si impegnerà in una rubrica con cadenza settimanale (si pubblicherà la domenica) per dar spazio alla voce delle ragazze e dei ragazzi che hanno scritto per il laboratorio. Ogni settimana saranno pubblicati quattro differenti testi.
PRIMO TESTO – A cura di Francesca Ajale
Non vedono, non sentono, non parlano, non camminano…
Questa è la condizione in cui vivono molte persone nella nostra città.
Una città che non è in grado di offrire ciò di cui le persone con handicap hanno bisogno per essere indipendenti.
Una città che deve vergognarsi perché potrebbe ma decide di non fare.
Una città che si gira dall’altra parte e lascia le persone da sole ed in difficoltà.
Roma, la capitale d’Italia ma la periferia abbandonata del mondo, non dispone di percorsi speciali per coloro che non vedono o non sentono, non dispone di discese sul marciapiede per facilitare coloro che non camminano, non dispone di segnali acustici adeguati ai semafori e non dispone di mezzi pubblici adeguati per nessuno, tanto meno per le persone disabili.
Le persone disabili che vivono a Roma non possono uscire e muoversi da sole. Sono costrette, come leoni chiusi in gabbia in mezzo alla giungla a dipendere dall’aiuto altrui.
Perché vogliamo lasciare le loro gabbie chiuse? Voi come vi sentireste a voler uscire, camminare, vedere, sentire e doverci rinunciare perché non ci sono i mezzi adeguati? Non vi sentireste in trappola?
Non posso accettarlo, non possiamo accettarlo.
Apriamo insieme le loro gabbie e lasciamo che tutti e tutte si muovano liberi in questa giungla chiamata Roma.
Roma deve evolvere, Roma non deve lasciare nessuno prigioniero, Roma deve cambiare mente e diventare più inclusiva di quanto sia adesso.
Mi chiamo Francesca e chiedo che a Roma NESSUNO SI SENTA IN TRAPPOLA.
SECONDO TESTO – A cura di Flavia Sergi
Giro la testa, abbasso gli occhi, il cuore si contrae.
Un signore di 40 anni sta salendo sull’autobus. Il mezzo pubblico non è dotato di una pedana e le grandi ruote della sua sedia a rotelle ostruiscono il passaggio.
Sospiro: la rete del trasporto pubblico della capitale non è a misura delle persone con disabilità.
Tutti lo sanno, nessuno ne parla.
Come a invocare una responsabilità comune.
Manca strategia.
Manca accessibilità.
Manca inclusione.
Un altro signore, vestito in giacca e cravatta, si alza e si affretta ad aiutarlo.
Si sorridono sconsolati, come a dire “è una cosa normale”.
Un pensiero comune, scontato, acritico.
E se invece non lo fosse?
Mi guardo in automatico le gambe.
Il problema sta nella concezione stessa della disabilità. Così come un poeta impiega settimane, mesi, anni, per scrivere una poesia, così le istituzioni italiane si adoperano per un cambiamento.
E per fare quattro passi, a volte ci si impiega una vita.
Alcune persone si sentono disabili, solo quando devono prendere l’autobus.
Mi chiamo Flavia e chiedo che a Roma NESSUNO DEBBA SENTIRSI DIVERSO.
TERZO TESTO – A cura di Giulia Tranchina
Ignote, diverse, complesse.
Si potrebbero definire così le esperienze di una studentessa che, come me, vive lontana da casa. Una giovane donna che si trova catapultata in una nuova città, per tanti versi, differente dal paesino in cui è cresciuta e proprio per questo più articolata.
Così ragiono mentre cammino, zaino in spalla, verso l’università dove mi aspetta un intero pomeriggio di lezioni. Quando a un tratto, noto un signore in difficoltà, perché le ruote della sua sedia a rotelle si sono incastrate in una buca. I marciapiedi disseminati di squarci sono considerati, in maniera piuttosto folkloristica, una caratteristica intrinseca di Roma: un vero e proprio biglietto di visita. E così, dopo averlo aiutato, mi sono chiesta:
Com’è possibile che in una città importante come Roma – la nostra capitale – l’amministrazione si perda in un bicchiere d’acqua?
Com’è possibile che ancora non si sia risolto un problema ormai vecchio come il Colosseo?
Com’è possibile che per strada si incontrino più buche che alberi?
Mi sembra che nessuno capisca cosa significhi affrontare questi problemi ogni singolo giorno, quando magari si hanno già mille pensieri per la testa. Ebbene, proviamo per una volta a metterci nei panni di queste persone. Come ci sentiremmo se a un tratto, camminando, rimanessimo bloccati come se avessimo un piede in una tagliola? Il tutto reso ancora più difficile dall’ennesima macchina parcheggiata davanti agli accessi facilitati. Non ci sentiremmo forse lasciati indietro?
Ma tutti questi interrogativi rimangono solo nella mia testa. E io proseguo il mio cammino, piuttosto spedito, mentre qualcuno altro rischia su qualche marciapiede romano di sentirsi in trappola.
Mi chiamo Giulia e chiedo che a Roma NESSUNO TROVI OSTACOLI SULLA SUA STRADA.
QUARTO TESTO – A cura di Fabiola Craca
Annusa, ascolta, tasta…
È così che una persona non vedente si muove nel mondo sfruttando i sensi che più sottovalutiamo.
Nella metropoli più grande d’Italia non possono sentirsi spaesati;
nella metropoli più grande d’Italia non devono sentirsi smarriti;
nella metropoli più grande d’Italia non vogliono sentirsi abbandonati.
Roma caput mundi: la città che un tempo incorporava imperi e costruiva strade dal nulla.
La città che oggi, capitale d’Italia con più di 35 quartieri, non dispone ovunque di percorsi tattili per non vedenti, una città enorme in cui la metro c’è ma non è sempre provvista di una pavimentazione dedicata, una città con un traffico leggendario in cui non tutti i semafori hanno un aiuto acustico adeguato.
Nessuno dovrebbe provare angoscia, sentendosi morire dalla paura come se, invece di una strada, si dovessero attraversare dei binari ferroviari al buio e il treno stesse per falciarci da un momento all’altro.
Al giorno d’oggi ci sembra impossibile, siamo abituati ai sottopassaggi, ai cavalcavia, ai passaggi a livello e allora perché ipovedenti e non vedenti dovrebbero buttarsi nel buio con il cuore a mille, sperando che quel treno non passi proprio mentre corrono verso la salvezza? Perché devono provare il terrore che tutto possa finire in un attimo e al tempo stesso la necessità di arrivare dall’altra parte della strada, avendo la certezza che quella sia l’unica opzione?
Immaginate di affrontare mille ostacoli e infinite peripezie solo per tornare a casa. Immaginate di cadere nel vuoto a ogni passo che fate e di sentire un milione di rumori tra la puzza di smog e i gas di scarico che rendono impossibile capire la direzione da prendere senza usare la vista. Non è normale che si impieghi una vita per una semplice azione quotidiana come fare la spesa, tantomeno che salire su un autobus equivalga a una delle dodici fatiche di Ercole.
Mi chiamo Fabiola e chiedo che a Roma NESSUNO SIA LASCIATO AL BUIO.
La Redazione di The Journal Asp x il Laboratorio di Scrittura Accademica