Il 9 novembre del 1989 cadeva il Muro di Berlino, la “Bastiglia dell’est” che per quasi trent’anni divise in due l’attuale capitale tedesca divenendo il simbolo della Guerra Fredda tra storia, giornalismo e musica.
Nel 1961 i sovietici ed il governo della DDR (repubblica democratica tedesca) decisero di intraprendere una strategia concreta per fermare l’esodo di tedeschi dalla Germania Est alla Germania Ovest, e lo fecero in modo brutale attraverso la costruzione del Muro di Berlino. Le costruzioni iniziarono nella notte tra l’11 ed il 12 agosto del 1961.
Il 13 agosto le frontiere tra le due Germanie vennero ufficialmente chiuse. Nel 1989 erano cambiate tante cose rispetto al 1961: Erich Honecker, leader del partito comunista della Germania est, si era ormai dimesso, e l’intero blocco sovietico vacillava: sarebbe crollato definitivamente nel 1991.
Dopo una serie di proteste spontanee dei cittadini di Berlino, il governo della DDR fece un annuncio improvviso: si poteva di nuovo viaggiare liberamente verso la Germania ovest.

La fine della “Bastiglia dell’Est”
Il 9 novembre del 1989 i berlinesi accorsero armati di piccone per demolire una volta per tutte l’odiato muro, il cui crollo fu universalmente interpretato come un segno del fatto che la divisione in due blocchi dell’Europa stava definitivamente finendo.
Così ne parlò Franco Venturini, corrispondente da Berlino del Corriere della Sera, il 10 novembre del 1989: “I mattoni sono ancora lì, come i fili spinati, le mine antiuomo, i cavalletti di Frisia, le lugubri torrette dalle quali i vopos non sparano più.
Ma da ieri il Muro di Berlino sembra un’illusione ottica, l’inutile reminiscenza di un incubo che per quasi trent’anni ha marchiato d’infamia la storia dell’Europa postbellica.”

“Oggi a questa Europa il gorbaciovismo ha restituito la parola, ha fatto intravvedere la speranza, e sebbene gli esiti dell’impresa siano tutt’altro che garantiti, il virtuale abbattimento del Muro porta alle estreme conseguenze proprio il messaggio partito dal Cremlino: non c’è più posto nel cuore dell’Europa per una prigione di popolo, non vale più quella logica di Yalta che per congelare i confini usciti dalla guerra aveva in realtà autorizzato il sopruso e la violenza, mascherando il fallimento dell’utopia marxiana dietro il tragico paravento dell’ordine stalinista.”
L’evento secondo gli Scorpions
Vorrei ricordare quest’evento attraverso gli occhi di una delle più grandi rock band del ‘900, gli Scorpions, che nel 1989 scrissero “Wind of change”: un brano destinato ad entrare non solo nella storia della musica mondiale, ma nei ricordi di milioni e milioni di tedeschi e non solo come una sorta di inno non ufficiale della caduta del Muro di Berlino.
Ma ecco come andò.

Nel 1988, in occasione del Savage Amusement Tour, gli Scorpions riuscirono a piazzare una data in Russia, a Leningrado. Un evento assolutamente impensabile per una band occidentale, date le politiche isolazioniste di Mosca. Il concerto fu un successo.
Un trionfo di musica e fratellanza, al punto che l’anno seguente, nel 1989, gli Scorpions sono chiamati a partecipare all’organizzazione del Moscow Music Peace Festival, un evento storico con la compartecipazione di artisti sovietici e occidentali. E fu proprio nella settimana che precedette questo festival che la band scrisse Wind of Change.
In uno dei giorni che precedettero il festival, il manager degli Scorpions, Doc McGhee, decise di organizzare una gita in barca sul fiume Moscòv. Lungo il percorso, che tocca anche il Gorky Park, Klaus Meine, leader del gruppo, comincia a fischiettare una melodia.
Nella sua mente c’è questo contrasto evidentissimo: solo un anno prima erano la seconda band occidentale della storia a suonare in Russia, e ora stanno prendendo parte ad un festival pieno di artisti americani, con tanto di gita in barca.
In sostanza, Meine cominciò a riflettere sulla caduta delle barriere culturali e politiche: la Guerra Fredda, che ufficialmente era ancora in corso, era in realtà in fase di scongelamento definitivo.
E mentre pensava a tutto ciò, aveva ancora quella melodia in testa e, per non dimenticarla, continuava a fischiettarla. Quella melodia fischiettata da Klaus Meine diverrà, di lì a breve, il tratto iconico della canzone.
“I follow the Moskva
Down to Gorky Park
Listening to the wind of change
An August summer night
Soldiers passing by
Listening to the wind of change”
La prima strofa parte proprio da quel viaggio in barca: navigando il fiume Moscova, giungendo al Gorky Park, Meine ripensa a come il mondo sta cambiando.
Il riferimento ad agosto è proprio alla settimana del Moscow Music Peace Festival, che si svolse il 12 e 13 agosto 1989, alla presenza dei soldati dell’Armata Rossa.

“The world is closing in
Did you ever think
That we could be so close, like brothers
The future’s in the air
I can feel it everywhere
Blowing with the wind of change”
Meine ci restituisce lo stupore per chi sta assistendo a qualcosa che solo pochi anni prima sarebbe stata pura utopia: la pace e la fratellanza tra coloro che, per quasi trent’anni, erano stati divisi dal Muro.
Il futuro è nell’aria, lo si percepisce e lo si può sentire ovunque…e soffia nel vento del cambiamento.
“Take me to the magic of the moment
On a glory night
Where the children of tomorrow dream away
in the wind of change”
La “glory night“ citata nel testo è presumibilmente quella del festival, ma simbolicamente richiama anche alla stessa notte del 9 novembre, quando i cittadini berlinesi abbatterono il quel Muro che aveva chiuso, fisicamente e metaforicamente, ogni legame con i propri connazionali che, per qualche ragione, si erano trovati dalla “parte sbagliata” della Germania.
“Walking down the street
Distant memories
Are buried in the past forever
I follow the Moskva Down to Gorky Park
Listening to the wind of change”
Nella seconda strofa si ribadisce il contrasto tra un passato di divisioni e un futuro di unione e fratellanza. I ricordi delle divisioni sono ormai sepolti per sempre.
Il futuro non presenta più barriere culturali o di appartenenza politica, ma solo l’unione tra connazionali divisi dalla storia e dalle logiche di Yalta.
“The wind of change
Blows straight into the face of time
Like a stormwind that will ring the freedom bell
For peace of mind
Let your balalaika sing
What my guitar wants to say”

Il bridge è impetuoso e caratterizzato da chitarre distorte. Qui Meine afferma che niente potrà fermare questo vento che soffia forte, impetuoso.
L’abbattimento delle barriere culturali è sottolineato anche nella frase “lascia che la tua balalaika canti quello che la mia chitarra vuole dire”: la balalaika è uno strumento a corde russo, molto simile alla chitarra, ma con un corpo triangolare e con solo tre corde.
Meine sembra dirci che sebbene veniamo da culture diverse (“noi abbiamo la chitarra, voi la balalaika”), possiamo parlare la stessa lingua: quella della musica e della libertà.
A cura di Lorenzo Perticarà
Fonti:
Wind Of Change Testo Scorpions (angolotesti.it)
Wind of Change degli Scorpions: storia e significato della c… (techprincess.it)
Caduta del muro di Berlino: storia, cronologia e protagonisti | Studenti.it