Dal 22 settembre, il Palazzo di Vetro è tornato ad essere il luogo di rendez-vous dei capi di stato di tutto il mondo, con l’ottantesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Al centro di questa edizione il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di molti stati, tra i quali il Belgio, la Francia, l’Inghilterra, la Finlandia, il Lussemburgo, Malta, la Nuova Zelanda, l’Australia, il Canada e San Marino.
FRANCIA
Con un discorso che passerà alla storia, il presidente francese Emmanuel Macron ha riconosciuto lo Stato di Palestina al cospetto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. “Le temps est venu parce que l’urgence est partout”, “il tempo è venuto perché l’urgenza è dappertutto”. Così Macron, in punta di piedi, ha cercato di trovare un difficilissimo e delicatissimo equilibrio tra l’alleanza con Israele e la gravità della situazione a Gaza. Ha citato cifra dopo cifra i 1224 morti (di cui 51 francesi), i 251 rapiti e i 4834 feriti provocati da Hamas il 7 ottobre 2023, ma al contempo ha chiosato che “rien, rien”, “nulla, nulla” giustifica la guerra a Gaza.
Nel corso di venti minuti di discorso, a dispetto dei 57 del presidente Trump, ha delineato il cammino per giungere alla soluzione dei due Stati. Secondo la sua visione, l’Autorità palestinese, profondamente rinnovata e fermamente contraria ad Hamas, potrà guidare la ricostruzione e la smilitarizzazione di Gaza, affiancata dal supporto di una missione delle Nazioni Unite e dal sostegno dei Paesi arabi pronti ad impegnarsi nel riconoscimento dello Stato di Israele.
Allo scopo di prevenire le critiche del governo Netanyahu, Macron ha inoltre precisato che il riconoscimento dello Stato di Palestina è un fallimento per Hamas. Ma, mentre la delegazione gazawa applaudeva a queste parole, quella israeliana era visibilmente assente, lasciando tutti e sei i posti a loro destinati vuoti e pregiudicando a priori il tentato equilibrio di Macron. Ciononostante, il presidente francese ha continuato delineando gli obiettivi di uno Stato di Palestina: indipendenza, sovranità, demilitarizzazione, recupero del territorio occupato e soprattutto un riconoscimento reciproco con lo Stato di Israele.
In chiusura, il presidente francese ha cercato un contatto con il popolo israeliano ribadendo che nulla sarà possibile senza la partecipazione di Israele. Ha citato l’assassinio di Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano ucciso a seguito degli accordi di pace di Oslo da un colono ebreo contrario a ogni negoziato, e ha citato l’eroe israeliano che “combatte finché non c’è possibilità di pace”. In modo teatrale, ha terminato sottolineando che oggi c’è la possibilità di costruire la pace, che è molto più esigente, molto più difficile di tutte le guerre, ma “il tempo è giunto”.
STATI UNITI
Donald Trump, invece, è tornato a parlare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite con un discorso che ha mescolato nazionalismo, toni da campagna elettorale e una critica frontale al multilateralismo. Fin dalle prime battute, il presidente statunitense ha ribadito che “gli Stati Uniti non prenderanno ordini da nessuno”, affermando che ogni Paese deve difendere i propri confini e la propria identità, prima di parlare di cooperazione internazionale.
Molto discusse sono state le parole del tycoon sul clima. Trump ha, infatti, definito il cambiamento climatico “la più grande truffa mai perpetrata”, criticando l’Accordo di Parigi e le politiche ambientali dell’Unione Europea. Secondo lui, l’energia verde starebbe impoverendo le economie occidentali, non rappresentando una soluzione reale.
Per quanto riguarda il tema della migrazione e sicurezza, questo ha ricoperto una parte importante del suo discorso. Trump ha invitato le nazioni a chiudere le frontiere e a rimandare a casa gli immigrati irregolari, accusando l’agenda “globalista” di minare la stabilità interna dei Paesi.
Durante il suo intervento, il presidente statunitense non ha risparmiato attacchi alle Nazioni Unite, accusate di essere inefficaci e di limitare le proprie azioni alla scrittura di lettere piene di parole altisonanti, senza raggiungere risultati concreti. Non sono mancate inoltre critiche agli alleati europei per le politiche sull’immigrazione, le politiche energetiche e la dipendenza da petrolio e gas russi, con l’avvertimento che gli Stati Uniti potrebbero introdurre dazi molto forti se non verrà trovato un accordo per isolare Mosca.
Il presidente degli Stati Uniti è poi passato a discutere del settore guerre, ribadendo il rifiuto di un riconoscimento internazionale dello Stato palestinese, sostenendo che sarebbe un premio al terrorismo. Sulla guerra in Ucraina, invece, ha insistito affinché l’Europa assuma più responsabilità finanziarie e militari, mentre Washington “non farà da bancomat al mondo”.
A colorare la giornata, alcuni contrattempi: il teleprompter ha smesso di funzionare e la passerella mobile d’ingresso si è bloccata, costringendo il presidente a improvvisare l’introduzione tra battute e sorrisi, episodio che lui stesso ha citato con sarcasmo.
Di tutta risposta, però, le reazioni internazionali non si sono fatte attendere: leader europei e commentatori hanno parlato di discorso divisivo e di una sfida al multilateralismo. Resta ora da capire se le minacce, dai dazi a possibili tagli ai fondi ONU, diventeranno azioni concrete o resteranno pura retorica.
PALESTINA
A seguito del rifiuto dell’amministrazione Trump di concedere il visto al presidente palestinese Abbas e alla sua delegazione, l’anziano leader è stato costretto a registrare da Ramallah, in Cisgiordania, il proprio intervento destinato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Nel suo discorso, Abbas ha portato all’attenzione dei colleghi fatti passati inosservati, riguardanti il suo paese martoriato. Tra questi, ha enfatizzato la sofferenza della sua gente bloccata nell’enclave di Gaza, costretta a vivere una delle più brutali carestie sotto bombardamenti israeliani costanti. Parallelamente, ha segnalato sviluppi in Cisgiordania, dove si è assistito ad una rapida crescita degli insediamenti illegali da parte di coloni spesso violenti. L’ultimo esempio, infatti, è il piano di costruzione in E1, che mira a dividere la Cisgiordania, isolare Gerusalemme occupata e distruggere la soluzione dei due Stati. Infine, Abbas ha ricordato che Gaza costituisce parte fondamentale dello stato palestinese e non rappresenta il desiderio del popolo palestinese né uno stato guidato da Hamas, che egli ha duramente condannato per gli atti di violenza del 7 ottobre e per la presa di ostaggi.
Dinnanzi all’Assemblea Generale, Abbas ha ribadito alcune richieste già avanzate negli anni passati. Tra queste, la cessazione della guerra a Gaza, l’entrata incondizionata di aiuti umanitari, la ritirata delle forze armate israeliane dalla Striscia, la garanzia che la popolazione palestinese non venga ulteriormente sfollata, la fine dell’assedio economico imposto da Israele e il sostegno agli sforzi di riforma nazionale e alle elezioni presidenziali e parlamentari entro un anno dalla fine della guerra. Infine, ha dichiarato disponibilità a collaborare con Donald Trump, l’Arabia Saudita, la Francia, le Nazioni Unite e tutti i partner internazionali per un piano di pace.
Dopo aver ringraziato i paesi che hanno riconosciuto la Palestina durante la seduta, il presidente ha fatto appello a tutti gli Stati che non l’hanno ancora fatto di procedere e ha chiesto sostegno per la piena adesione della Palestina alle Nazioni Unite.
A cura di Paola Emilia Castelli, Francesco De Paolis e Costanza Santillo
SITOGRAFIA
https://www.rev.com/transcripts/trump-speaks-at-un
https://www.youtube.com/watch?si=dBTfQ0QSfDK2oJO8&v=9A-IuuCNsUw&feature=youtu.be
https://gadebate.un.org/sites/default/files/gastatements/80/ps_en.pdf