Smileagain FVG e l’omicidio di identità in Pakistan.

Chi combatte per le donne?

<<Era la fine, fine della mia faccia, fine della mia bellezza, fine della mia vita, fine. Ma “La vita va avanti”. Nulla può essere fermato, eccetto il respiro>>.

Quelle riportate sono le parole di Iram Seed, nota attivista pakistana che nel 2015 ha partecipato al progetto Facing dando vita a dei ritratti nei quali, attraverso l’uso dell’acido e di alcune lastre di metallo, ha raffigurato i volti di donne che, come lei, dall’acido sono state deturpate.

Quella dell’acidificazione è una pratica molto diffusa al giorno d’oggi in tutto il mondo e soprattutto in Pakistan. Secondo i dati raccolti dall’Acid Survivor Trust International, ogni anno 500.000 persone subiscono un’aggressione con l’acido, l’80% delle quali vede vittima una donna, mentre nel 90% dei casi ad aggredire è un uomo. Basti pensare che in Pakistan, solo nel 2018, ci sono state 57 notifiche di attacchi corrosivi con l’acido con un ammontare di 80 vittime. Gli attacchi derivano, nella maggior parte dei casi, da violenze domestiche e trovano le loro radici nella diseguaglianza di genere, nella credenza che le donne siano “merce” adatta solo al matrimonio e alla riproduzione e che, nel momento in cui decidono di opporsi a questo destino, debbano essere punite, a costo di privarle della loro stessa identità.

Immagine presa da dirittodicritica.com

Nel linguaggio criminologico l’acidificazione è considerata un omicidio di identità. Lo sfregio perpetrato con l’acido è infatti solitamente diretto al viso, il centro dell’identità dell’essere umano, ciò che permette a tutti noi di comunicare e di distinguerci in modo unico e inconfondibile nella società. Chi sfregia vuole pertanto privare la vittima della sua identità, provocandole dei danni che non si esauriscono in cicatrici mortificanti dal punto di vista estetico, con le quali fare i conti per il resto della vita, ma che generano conseguenze devastanti e permanenti a livello psicologico: “un assaggio della morte restando in vita”, così le vittime dell’acido descrivono quanto hanno patito. Chi sceglie l’acido come strumento di offesa non vuole eliminare la vittima dal punto di vista fisico, anzi, la sua sopravvivenza all’aggressione si pone come il presupposto indefettibile per la realizzazione dell’atto criminoso: la mortificazione a vita.

In Pakistan le donne acidificate difficilmente possono ricevere cure mediche adeguate, dato che le spese ospedaliere non sono coperte dallo Stato, ma sono a carico della famiglia dell’ammalato/a, quindi le vittime sono costrette a rinchiudersi in casa per non mostrare la violenza subita e non portare disonore sulla propria famiglia. Per capire meglio questo concetto si potrebbe parlare di Zayna, altra ragazza vittima di acidificazione, la cui testimonianza, riportata nel libro “Più della mia pelle”, scritto da Giuseppe Losasso e Annalisa Maniscalco, permette di capire come la vittima dell’acido non solo debba lottare per sopravvivere in mancanza di cure mediche adeguate, ma allo stesso tempo debba anche abituarsi a vivere nascosta, nell’ombra, per essere un peso minore sulle spalle della propria famiglia. Spesso, a causa di queste condizioni, molte donne scelgono il suicidio. Il 7 maggio 2011 c’è stata però una svolta nella giustizia pakistana. Grazie a un emendamento nel codice penale, l’acidificazione è stata infatti finalmente considerata un crimine punibile con pene che vanno dai 15 anni di reclusione all’ergastolo. Uno dei limiti di tale norma consiste però nel fatto che non rientra nella Sharia, ovvero nella legge sacra dell’islamismo basata principalmente sul Corano e sulla sunna o consuetudine. È essenzialmente un insieme di precetti non scritti, tramandati di padre in figlio. Secondo la Sharia, una donna può denunciare un’aggressione solo se ad essa hanno assistito almeno tre pakistani affermati tali, anziani e considerati affidabili dalla comunità. Questa consuetudine rende difficile far pervenire e riconoscere qualsiasi tipo di denuncia. Con la legge del 2011 la situazione si è evoluta perché le donne ora possono portare il loro caso in tribunale e sperare in una pena adeguata. Il limite consiste pertanto nel fatto che questo è un emendamento, qualcosa di nuovo nella legislazione pakistana e quindi, soprattutto nelle zone rurali, non viene riconosciuto come valido. In aggiunta, soprattutto nei primi tempi, risultava difficile trovare degli avvocati disposti a lavorare gratuitamente e a rischiare la propria vita per rappresentare delle donne in tribunale. Con il tempo, però, sono nate varie associazioni che hanno messo a disposizione diversi budget per sostenere il lavoro degli avvocati disposti a intraprendere questo percorso.

immagine presa da Raffaellaferrari.it

All’interno di questo contesto, all’inizio degli anni 2000, è nata l’associazione Smileagain, la prima in Italia ad occuparsi dei casi delle donne acidificate in Pakistan e non solo. Il progetto, inizialmente, puntava a far accettare tale organizzazione all’interno degli Stati presi in interesse, individuare le ragazze che avevano bisogno di assistenza e portarle in Italia, in particolare a Roma, affinché un’equipe di medici potesse occuparsi della loro cura e riabilitazione. Purtroppo tale progetto non andò a buon fine: per le ragazze era difficile integrarsi nella società e nella cultura occidentale, il numero delle vittime era troppo grande e molto spesso era impossibile, a causa delle loro situazioni critiche, trasportarle in aereo fino in Italia.  A rendersi conto per primo di tutte queste variabili fu il dottor Giuseppe Losasso, medico chirurgo specialista in chirurgia plastica che opera prevalentemente in Friuli-Venezia Giulia, il quale, assieme a Daniela Fasani e Mara Oceano, il 19 maggio 2004, decise di tentare un nuovo approccio in Pakistan e fondò una nuova onlus: Smileagain FVG. Quest’associazione, nel corso di tutti questi anni, si è posta l’obiettivo di aiutare le donne acidificate attraverso interventi di chirurgia ricostruttiva, sostegno psicologico e reinserimento sociale. Tutte le cure vengono eseguite gratuitamente e Smileagain FVG, oltre a occuparsi di inviare periodicamente chirurghi italiani in Pakistan, contrasta anche la brutale pratica dell’acidificazione informando l’opinione pubblica pakistana e promuovendo campagne di sensibilizzazione finalizzate alla riduzione del fenomeno e ad un suo inquadramento nel contesto giuridico e sociale locali. Inoltre, si occupa di elaborare progetti finalizzati all’aiuto delle vittime. Tra questi ultimi è di fondamentale importanza ricordare i corsi di formazione per infermiere pakistane che operano in medicina intensiva e per personale sanitario pakistano del 2006 e del 2007, la video conferenza tra sale operatorie (O.C. di Udine, Italia – Nishtar Hospital di Multan, Pakistan) del 2010 e la fondazione del Pak-Italian Modern Burn Center & Acid Burn Treatment Centre a Multan iniziata nel 2012 e terminata nel 2018. Le videoconferenze si sono dimostrate una tecnologia efficace per operare a distanza, dare consigli durante gli interventi e impartire lezioni di chirurgia in tempo reale. Ciò che però più ha segnato quest’associazione è stata la creazione della “clinica del sorriso”. Come racconta il dottor Losasso stesso, è stata un’idea che inizialmente ha comportato molti sacrifici e delusioni a causa di problemi di natura politica, economica e burocratici persistenti in Pakistan, ma nel maggio 2018 c’è stata finalmente la svolta. In quell’anno, infatti, l’ospedale è stato inaugurato. Le sale operatorie possiedono attrezzature d’avanguardia, ci sono almeno dieci box per ustionati gravi e un sistema di trasmissione per le videoconferenze. È stato anche realizzato un centro di riabilitazione annesso all’ospedale, per restituire mobilità e funzioni ai pazienti con esiti di ustioni. Da quando ha aperto, il Centro si è già distinto come eccellenza asiatica, attirando pazienti non solo da tutto il Pakistan e dal subcontinente indiano, ma anche dalla Malesia e dall’Afghanistan. Il governo pakistano sostiene tutte le spese del Pak-Italian Modern Burn Centre, ciò significa che i pazienti possono ricevere cure gratuite, una novità in una terra in cui le donne che vengono acidificate sono considerate incurabili a causa delle spese.

Oggi il dottor Losasso ha un solo sogno: quello di chiudere Smileagain FVG. Spera di vedere il giorno in cui non ci saranno più ragazze da dover curare, da rimettere in piedi e da riaccompagnare al centro della loro vita. Spera in un giorno in cui non dovrà più convincere una donna che la sua essenza non si riduce a una cicatrice, e che c’è molto di più, in lei, di un volto sfigurato o di un corpo violentato.

Articolo a cura di Emma Bellon

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