Sangue d’Istria

Esule giuliana dalmata con la bandiera tricolore

Ogni anno il 10 febbraio si ricordano le stragi attuate dalle milizie della Jugoslavia di Tito tra il 1943 e il 1947 contro gli italiani che abitavano la Venezia Giulia. Fu proprio il 10 febbraio del 1947 il giorno in cui l’Italia ratificò il trattato di pace di Parigi nel quale vennero assegnati alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara e gran parte della Venezia Giulia.

Con la legge 30 marzo 2004 n°92, olegge Menia, fu istituita la Giornata del ricordo, per commemorare i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata.

Storia d’Istria

L’Istria, penisola della costa nord orientale dell’adriatico, nel 177 a.C. entrò a far parte dell’Impero Romano, per primo Giulio Cesare fondò le colonie di Pola (Pietas Julia) e Parenzo (Julia Parentium), poi nel 27 a.C. Augusto concesse la cittadinanza romana agli abitanti di questi territori e istituì la Decima Regio Venetia et Histria. Roma dette tanto all’Istria, ricordiamo l’arena di Pola, l’arco di Fiume, così come l’Istria deve tanto a Roma, molti furono, infatti, gli imperatori dalmati, come Diocleziano, Costanzo Cloro e Costantino I. Nel VI secolo d.C. queste terre furono invase dai barbari e nell’800 passarono ai veneziani che si stavano affermando su tutta la costa adriatica. L’Istria fu così un vero e proprio sestiere della Serenissima fino al 1797, quando, con il trattato di Campoformio, la regione passò nelle mani austriache nelle quali rimase, quasi continuativamente (si ricordi la parantesi francese del Regno Napoleonico d’Italia), fino al 1918.

Con la fine della Grande Guerra, a cui parteciparono a fianco dell’esercito italiano migliaia di istriani e dalmati, tra i più noti Nazario Sauro, all’Italia furono riannesse Trento, Trieste, l’Istria e la città di Zara in Dalmazia, le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa. Nel 1924, a seguito dell’impresa dannunziana, entrerà a far parte del Regno d’Italia anche la città di Fiume.

Durante il periodo fascista iniziò un processo di estirpazione di tutte le forme di vita pubblica e privata croata e slovena, con l’imposizione della lingua italiana, la chiusura delle scuole croate e l’italianizzazione dei cognomi: provvedimenti illiberali e discriminatori, inseriti in un mondo dove le minoranze non erano accettate ma bensì perseguitate. Tutto questo portò all’emigrazione di circa 70 000 Croati e Sloveni dai territori sotto il dominio italiano.

Seconda guerra mondiale

Si arrivò così alla Seconda guerra mondiale. Dopo l’armistizio di Cassibile, reso noto l’8 settembre del 1943, in Istria si scatenò una rivoluzione generale e dopo poco i territori vennero annessi alla Croazia. Si diede il via, quindi, ad una vera e propria vendetta. Le stragi dei partigiani titini si possono dividere in due ondate, di cui la prima va dal 9 settembre al 13 ottobre del 1943 e vide l’esercito di Tito agire principalmente nell’entroterra istriano, mentre Trieste, Pola e Fiume erano ancora in mano ai tedeschi. La seconda ondata si verificò a seguito del crollo del Terzo Reich nella primavera del 1945: i territori giuliano dalmati furono divisi in due zone, la «zona A» (Trieste, Gorizia e Pola) sotto il controllo militare angloamericano e la «zona B» (tutto il resto d’Istria) sotto amministrazione militare iugoslava; le violenze, le sparizioni e le eliminazioni continuarono in tutta la «zona B», il fine di Tito era quello di rimuovere dal territorio tutti “non-comunisti”, gli oppositori e gli italiani.

L’orrore delle foibe

Recupero dei corpi da una foiba

Per anni la storia degli italiani d’Istria fu tenuta nascosta, ignorata: Palmiro  Togliatti non esiterà  a  definire  l’avvenuto  “una  giusitzia sommaria  fatta  dagli  stessi  italiani  contro  i  fascisti”.  Dei  20mila morti (ad oggi stimati) pochi erano, però, fascisti, in questo numero freddo e vuoto, infatti, troviamo i nomi di partigiani anticomunisti, lavoratori dello Stato, militari, preti, anziani, donne, bambini.

Norma Cossetto (1920-1943)

Quella delle foibe è la modalità di tortura e esecuzione utilizzata dai seguaci di Tito più conosciuta: i prigionieri, dopo essere stati “processati” e seviziati per giorni, venivano legati l’uno con l’altro con del filo di ferro stretto ai polsi fino alle ossa, venivano poi  fatti avvicinare all’argine di particolari fessure nel terreno, caratteristiche delle aree carsiche. Si apriva il fuoco uccidendo solo i primi della fila costituitasi che, cadendo, si portavano dietro i loro compagni, destinati ad una morte lenta all’interno della cavità. La storia più nota di queste tragiche esecuzioni è quella di Norma Cossetto, giovane istriana arrestata e poi violentata consecutivamente dai 17 uomini che erano di guardia, sfregiata nelle parti intime prima di essere trascinata nella cavità dove verrà poi ritrovata senza vita, nove giorni dopo, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati.

Nella città di Zara la storia fu diversa. Dal 2 novembre 1943 al 31 ottobre 1944 Zara, pur non essendo un obbiettvo   militare,   fu   colpita   da   54 bombardamenti da parte degli alleati, sotto richiesta di Tito. La città fu distrutta al 90% e i morti furono 2000. Il 31 ottobre fu l’ultimo giorno della Zara italiana, in seguito Tito ne prese il possesso e iniziarono le persecuzioni per gli ultimi italiani rimasti. In questi luoghi non c’erano le foibe, ma il mare: i prigionieri, dopo essere stati torturati, venivano portati a largo, legati con delle pietre al collo e buttati in acqua. Tra le tante storie, è tristemente famosa la vicenda del farmacista Pietro Tìcina, affogato nel novembre del 1944, legato insieme alla moglie, una figlia, il genero, un fratello e una nipotina di 6 anni.

L’esodo

Ma la vicenda degli italiani d’Istria non è felice neanche per coloro che riuscirono a scappare. Dopo la firma dei trattati di pace nel 1947, su 502.124 abitanti 350.000 furono gli italiani che lasciarono i luoghi ceduti alla Jugoslavia. In 50.000 su 55.000 abitanti totali lasciarono Fiume, da Zara 18.000 su 20.000, da Capodistria 14 mila su 15 mila, 8 mila su 10 mila da Rovigno. In Italia gli esuli istriano-dalmati non furono i benvenuti, erano visti come fascisti, italiani di serie B. Gli esuli partivano dalla loro casa nella speranza di trovarne una nuova in madre patria, portando con sé gli oggetti della vita quotidiana (rimasti accumulati nelle stanze del magazzino 18 del porto di Trieste) tra i quali mobili e fotografie, tutto ciò che poteva tenere in vita la memoria, il ricordo della loro terra strappatagli con la forza: ciò che trovarono al loro arrivo in patria fu, però, disprezzo, odio, diffidenza. Furono allestiti 117 campi profughi in Italia, in edifici abbandonati e in stato di rovina, spesso cinti con filo spinato, con una guardia all’ingresso, orari di uscita ed entrata.

La politica italiana, dall’estrema sinistra alla DC, ha per anni ignorato questa tragica pagina di storia, tra negazionismo e ignoranza ha chiuso gli occhi davanti a racconti, testimonianze, voci che per quasi sessant’anni furono destinate a rimanere in silenzio, come se anch’esse fossero sprofondate nell’oblio di una foiba insieme a coloro le cui vite furono trattenute negli abissi di quella terra italiana, dove nacquero, vissero e, infine, tragicamente morirono.

A cura di Costanza Emanuele

Fonti

“Verità infoibate, le vittime, i carnefici, i silenzi della politica” di Fausto Biloslavo e Matteo Carnieletto;

“10 febbraio dalle foibe all’esodo” di Roberto Menia;

“L’esodo, la tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia” di Arrigo Petacco.

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