Di chi sarà la prima bandiera piantata nel cyberspazio?

Nella lingua cinese il termine “Cina”, ossia Chung-kuo, significa “regno di mezzo”, non inteso come lo spazio compreso tra potenze rivali, ma bensì come tutto ciò che si trova tra il cielo e la terra. Già dal nome di questo Stato è possibile comprenderne gli obiettivi, riassumibili nella formula “Rendere la Cina di nuovo grande”. A partire dalla fine della Guerra Fredda la Repubblica Popolare Cinese ha reso chiaro il suo intento di integrarsi nel mercato internazionale e di respingere i tentativi di accerchiamento diplomatico e militare degli Stati Uniti d’America, superpotenza egemonica di cui la Cina si sente vittima; contemporaneamente gli USA portano avanti una politica di “containment” volta a ritardare e limitare l’affermazione del potere cinese. Alla luce delle intenzioni contrastanti di queste due super-potenze, l’intero pianeta si trova ad assistere al braccio di ferro tra Cina e Stati Uniti, un gioco che prevede soltanto due finali, quelli previsti dalla Trappola di Tucidide. A meno che la Cina di Xi Jinping non moderi le sue ambizioni e gli USA non accettino l’ascesa cinese, un incidente in mare, uno scontro economico o un cyber-attacco potrebbero rappresentare la famosa “goccia che fa traboccare il vaso”, determinando lo scoppio di un altro grande conflitto. Questa lettura si pone l’obiettivo di studiare un elemento sempre più rilevante nell’ambito delle relazioni internazionali: la cyberwar e i possibili risvolti che questa potrebbe determinare nella tensione tra Stati Uniti e Cina.

Una quinta dimensione

La guerra è da considerare un fenomeno sociale non estirpabile dalla natura delle relazioni internazionali, questa in maniera camaleontica si adegua al contesto sociale, culturale e tecnologico in cui è immersa. A partire dalla rivoluzione informatica è entrata in scena una quinta dimensione della conflittualità, infatti dopo terra, mare, cielo e spazio extra-atmosferico, le guerre del ventunesimo secolo si combattono nella realtà ibrida e ubiqua del cyberspace. A partire dagli anni Novanta numerosi sono stati i tentativi di definire lo spazio cibernetico, tra le definizioni a cui si è giunti spicca quella di Daniel T. Kuehl che descrive il cyberspace come “un dominio globale all’interno dell’ambiente informatico il cui carattere distintivo e unico è caratterizzato da un uso dell’elettronica e dello spettro elettromagnetico per creare, memorizzare, modificare, cambiare e sfruttare le informazioni attraverso sistemi interdipendenti e interconnessi che usano la tecnologia delle informazioni e delle comunicazioni”.

Data la sua conformazione, il cyberspace permette di sfruttare ignote vastità per attaccare avversari di forze impari, tuttavia l’ingente ruolo ricoperto dalla rete nella vita dei singoli cittadini e nel funzionamento delle infrastrutture rappresenta una fragilità intrinseca del sistema; infatti se da un lato il dominio cibernetico determina una capacità operativa più rapida e permette la propagazione globale e istantanea dello spettro militare, dall’altro lato espone l’intero Paese a minacce che passano dalla semplice interruzione dei servizi telematici alla distruzione fisica di infrastrutture. Un altro punto critico del cyberspazio riguarda l’identificazione di chi ha aggredito, infatti mediante l’uso di server proxy e una rete di computer compromessi è possibile occultare il punto di origine di un’operazione informatica, rallentando il Paese vittima nell’individuazione dell’aggressore.

Anche in ambito cibernetico, il termine guerra fa riferimento a elementi coercitivi con finalità distruttive, infatti la cyberwar è definibile come un’azione da parte di uno Stato atta a penetrare i sistemi informatici o le reti di un altro Stato con la finalità di causare danni o distruzione; secondo lo studioso Umberto Gori dietro un cyber-attacco vi è la ben precisa intenzione di arrecare danni concreti al nemico nel perseguimento di obiettivi politico-strategici più ampi. Ad oggi lo strumento cibernetico è utilizzato sempre di più per costringere chi subisce l’attacco a piegarsi alla volontà di chi lo attua, di conseguenza il cyberspace si è affermato a tutti gli effetti come un nuovo ambiente strategico e affinché gli Stati riescano a sfruttarne al massimo le potenzialità senza rimanerne vittime, è necessario che i policymakers imparino ad agire nell’ottica di questo nuovo dominio e si muniscano di una difesa efficace contro le minacce informatiche.

I primi a muoversi in direzione di un riconoscimento ufficiale della valenza dello spazio cibernetico nella politica internazionale sono stati gli Stati Uniti, infatti già nel 2001, in seguito al grande progresso registrato in ambito informatico, il Dipartimento di Difesa annunciava che l’ambito cibernetico rappresentava il nuovo moltiplicatore delle minacce per la sicurezza nazionale. Esattamente come gli Stati Uniti, anche la Cina ha compreso appieno il potere del cyberspazio, tanto da avviare una serie di provvedimenti volti ad espandere la governance cinese anche nella nuova dimensione di conflittualità, ad oggi infatti si contano già circa trenta provvedimenti tra codici, regolamenti, leggi e strategie governative.

Sarà questo il nuovo teatro di guerra?

Si, la situazione odierna non permette altra risposta a questa domanda; basti pensare a tutte le accuse mosse nel corso degli ultimi anni alla Cina, ritenuta responsabile o sostenitrice dei cyber-attacchi rivolti verso aziende americane e non. Ultimo tra tutti è l’attacco informatico indirizzato verso Microsoft Exchange e imputato alla Repubblica Popolare Cinese, un attacco che ha colpito circa 30mila società americane mettendo a rischio più di 150mila server di posta elettronica, calendari e messaggistica di tali aziende. A puntare il dito contro Pechino è stata la Casa Bianca che per la prima volta accusa l’avversario asiatico formalmente, all’accusa si sono uniti anche la NATO, l’Unione Europea e il Regno Unito, seguiti da Giappone, Canada e Nuova Zelanda. Un cyber-attacco come quello appena descritto può esser definito come un accelerante, il quale esattamente come fa un fiammifero con la benzina, può trasformare un avvertimento cibernetico in una guerra; infatti se da un lato le nuove tecnologie permettono vantaggi decisivi, dall’altro potrebbero determinare un’escalation fatale. Ad oggi gli Stati Uniti, così come la Cina, possiedono gli arsenali nucleari in grado di resistere al primo attacco dell’altro ma non hanno la stessa certezza in ambito cibernetico, ossia nessuna delle due potenze può esser certa che i propri cyberarsenali siano in grado di resistere a un serio attacco informatico. Questa incertezza genera una pericolosa dinamica secondo la quale ciascuna parte è incentivata ad attaccare i collegamenti chiave nelle reti dei computer dell’altro, prima che i suoi stessi computer vengano messi fuori uso.

Sulla base di queste dinamiche, un possibile scenario vede Pechino o Washington proporre un attacco informatico su piccola scala come un gesto intimidatorio nei confronti dell’avversario, si tratterebbe di un avvertimento senza vittime e senza alcun allarme pubblico volto a render consapevole la potenza avversaria di un potenziale attacco informatico su larga scala. Tuttavia, data l’incertezza che caratterizza sia la Cina che gli Stati Uniti, si potrebbe assistere a una rapida escalation in campo cibernetico: le due potenze, consapevoli delle proprie vulnerabilità, potrebbero reagire in maniera spropositata al primo accenno di ostilità da parte dell’altro fintanto che le proprie armi informatiche rimangono intatte. Un altro accelerante potrebbe essere la compromissione della riservatezza delle reti sensibili: Washington potrebbe disabilitare un sistema essenziale per il Great Firewall della Cina, ossia un insieme di hardware che consente a Pechino di controllare vasti segmenti dei contenuti online. Il Partito Comunista gestisce e controlla tutta l’informazione all’interno del paese: WhatsApp, Facebook, Twitter, Netflix, Instagram, Google, BBC, The New York Times sono tutti proibiti in Cina poiché tutto deve essere “Made in China”, il che rappresenta una garanzia per il Partito che vigila su ogni aspetto della vita sociale dei cittadini cinesi. Quindi, nonostante per gli Stati Uniti, l’intromissione nei sistemi di controllo rappresenti un piccolo avvertimento privato, per i leader cinesi l’attacco potrebbe essere erroneamente considerato l’inizio di un sovvertimento di regime, determinando così l’inizio di una serie di reazioni che sfoceranno in un conflitto Cina-Stati Uniti.

Dal testo emerge l’evidente predisposizione delle forze armate e dei decisori politici verso una militarizzazione del cyberspace e appare altrettanto evidente che nell’era cibernetica non è più valida la regola secondo cui il più debole soccombe al più forte, ma in questo nuovo dominio sembrano destinati a sopravvivere soltanto gli attori più versatili. Dato il contesto odierno non bisogna interrogarsi ulteriormente sulla possibilità di un conflitto tra Cina e Stati Uniti, ma bensì su quale sarà la potenza che si affermerà dimostrando maggior versatilità. 

A cura di Grazia Covotta

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