IL FUOCO DI HIJAB ILLUMINA LE NOTTI IRANIANE

Falò di hijab, capelli tagliati in pubblico, cori contro l’establishment. Nel Paese irrompe la rivolta dei giovani e delle donne per commemorare la ventiduenne morta per non aver rispettato i codici di abbigliamento. Notti e giornate di protesta in tutto l’Iran ormai dal 16 settembre scorso. Le prime manifestazioni hanno preso il via sabato 17, il giorno in cui sono stati celebrati i funerali della giovane Mahsa Amini, arrestata con l’accusa di non portare il velo nel modo appropriato. È morta mentre era in custodia della polizia religiosa dopo tre giorni di coma per i maltrattamenti subiti. 

La famiglia di Mahsa ha presentato una denuncia contro gli “autori del suo arresto”. A riportarlo è l’agenzia Isna, mentre nel Paese da più di due settimane continuano le manifestazioni di protesta. Il Kurdistan iraniano è stato il primo terreno di scontro, ma le proteste hanno varcato presto i confini della regione: dalla provincia del Gilan a quella di Yazd fino alla capitale Teheran.

Le ONG hanno dichiarato che le vittime degli scontri sono salite a trentuno negli ultimi sei giorni. Anche Amnesty International ha confermato che dal 16 settembre sono decine i morti e centinaia i feriti negli scontri con la polizia. Raha Bahreini, ricercatrice iraniana di Amnesty International e avvocato per i diritti umani, racconta che le prove che hanno raccolto mostrano che le forze di sicurezza stanno sparando pallini di metallo contro manifestanti e passanti. 

“Centinaia di donne, bambini e uomini sono rimasti feriti. Abbiamo visto immagini orribili di manifestanti con ferite alla testa, al petto e allo stomaco. Le forze di sicurezza stanno sparando proiettili di metallo a distanza ravvicinata e questo dimostra l’intenzione di causare il massimo danno”, ha dichiarato Raha Bahreini. A scendere in piazza in nome di Mahsa, infatti, sono soprattutto i giovani. Protagoniste delle adunanze sono le ragazze iraniane che prendono la testa dei cortei e guidano la rivolta, sfidando il pugno di ferro dalle forze di sicurezza. “Contro le ribellioni la polizia userà tutta la sua forza”, ha dichiarato il comando di polizia iraniano, citato dall’agenzia Fars. “Gli agenti useranno tutto ciò che hanno a disposizione per contrastare le cospirazioni dei controrivoluzionari ed elementi ostili, e useranno fermezza contro chi sconvolge l’ordine pubblico e la sicurezza in qualsiasi parte del Paese”, ha concluso il comando.

Questa protesta, però, è diversa da tutte le altre: le donne iraniane si tolgono il velo, lo bruciano, si tagliano i capelli. Sono stati postati online video che mostrano queste forme di protesta da Teheran a Isfahan e dalle altre città del paese che obbliga le bambine a indossare il velo fin dai sette anni. L’attivista Masih Alinejad ha postato su Twitter un video, scrivendo: «Le donne iraniane mostrano la loro rabbia tagliandosi i capelli e bruciando i loro hijab per protestare contro l’uccisione di Masha Amini ad opera della polizia dell’hijab. Dall’età di sette anni se non ci copriamo il capo non possiamo andare a scuola o avere un lavoro. Siamo stufe di questo regime di apartheid di genere». Il corpo delle donne è al centro della protesta che prende forma per le strade del Paese e si riversa sui canali social. Si tratta spesso di gesti estremi e liberatori. I falò di hijab illuminano le notti iraniane da ormai più di dieci giorni. Per molte ragazze non basta liberarsi di questo oggetto con cui convivono quotidianamente. Una volta sfilato dal capo, infatti, decidono di bruciarlo e di sventolarlo in fiamme come fosse una bandiera di libertà.

Il fuoco della rivoluzione non è stato spento nemmeno quando le autorità iraniane hanno bloccato l’accesso a Internet e a piattaforme come Instagram e WhatsApp in alcune aree di Teheran e del Kurdistan. L’Iran ha iniziato a spegnere internet il 19 settembre, mentre la repressione contro Instagram e WhatsApp è iniziata due gironi dopo. Da allora, diverse organizzazioni che si occupano di monitoraggio internet hanno documentato le interruzioni. Gli operatori di rete mobile, tra cui i maggiori fornitori del paese, Irancell, Rightel e Mci, sono stati oggetto di continui blackout. Alcuni gestori di telefonia mobile hanno perso la connettività per periodi di circa dodici ore. Ma quello innescatosi a metà settembre si è dimostrato essere un moto di rabbia che non accenna a placarsi, perché le dimostrazioni antiregime sono riuscite a riversarsi anche in rete, con video che documentano quanto sta accadendo per le strade delle città e foto di donne con i capelli tagliati con sotto l’hashtag #MahsaAmini.

La morte di Mahsa sarà oggetto di indagine. È quanto promesso dal presidente iraniano Ebrahim Raisi. “State tranquilli, un’indagine sarà sicuramente aperta”, ha detto Raisi ai giornalisti a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, sottolineando che il rapporto del medico legale non aveva menzionato abusi da parte della polizia, cosa che i manifestanti contestano.

“Ma non voglio saltare alle conclusioni troppo in fretta”, ha aggiunto. “Se una delle parti ha commesso dei torti, va sicuramente indagata”. Raisi, però, durante il suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu, ha accusato l’Occidente di avere “doppi standard” quando si tratta di diritti delle donne. “Perché non chiedere lo stesso per coloro che perdono la vita per mano delle forze dell’ordine in tutto l’Occidente – Europa, Nord America, Stati Uniti?” questa è la domanda posta dal presidente ai giornalisti a margine dell’intervento.

Ma dall’Onu arriva la denuncia della violenta repressione delle manifestazioni. Lo stesso hanno fatto molte cancellerie europee. Il sostegno alle proteste cresce dentro e fuori dai confini. Nel Paese degli ayatollah anche la nazionale di calcio che si è schierata in difesa delle donne e dei giovani iraniani, vestendosi di nero durante l’inno, martedì sera, prima di un’amichevole premondiale in Austria. Nel mondo si moltiplicano le iniziative di solidarietà. Da Berlino a New York, da Ankara a Madrid e persino a Kabul, in migliaia sono scesi in piazza al grido “donna, vita, libertà!”, lo slogan scandito dalle giovani iraniane. In mano la foto di Masha e spesso un paio di forbici per tagliarsi i capelli, in suo nome. Critiche nei confronti della repressione messa in atto da Teheran e sostegno alle donne che protestano sono arrivate anche da Spagna e Germania, che hanno convocato gli ambasciatori dell’Iran nei rispettivi Paesi. Sfila anche a Roma un corteo di studenti iraniani per unirsi alla protesta e il 28 settembre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha espresso “vicinanza alle coraggiose donne che si battono in Iran e nel mondo per difendere i loro diritti e la loro libertà”, in un messaggio sui social dove ha citato “l’eroica rivolta delle donne iraniane contro il regime degli ayatollah”.

Il punto è questo: c’è qualcosa di nuovo in queste proteste. Il governo ha sì risposto con grande severità, ma in passato aveva subito messo in campo le Guardie Rivoluzionarie, un corpo dell’esercito fondato dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini particolarmente violento, che ha il preciso compito di sopprimere il dissenso contro il regime. La morte di Mahsa Amini, anche grazie alla risonanza internazionale, ha messo in discussione l’intoccabilità del regime e proprio il fatto che sono le donne ad aver scatenato la rivolta è particolarmente significativo. L’obbligo del velo, fatto osservare addirittura da una polizia della moralità, è forse l’elemento più palese e riconoscibile dell’interpretazione islamista della religione. Da quando esiste, il regime ha voluto rendere il corpo delle donne uno strumento di propaganda politica per giustificare e rafforzare un potere esclusivamente maschile, da cui le donne devono farsi comandare e giudicare. Dando inizio alla rivolta, le iraniane si sono sottratte a questo controllo, dimostrando ancora una volta che la libertà di una società si misura anche sulla libertà che le donne hanno di scegliere, di vestirsi come vogliono, di camminare libere per le strade, di indossare i simboli religiosi. La risposta del regime è arrivata, ma stavolta sta incontrando più difficoltà del solito ad imporsi.

A cura di Elena Aversa

Referenze: https://www.corriere.it/esteri/22_settembre_29/proteste-arresti-iran-mahsa-tagli-capelli-mondo-solidarieta-ma-raisi-promette-pugno-duro-48240d1a-3fd4-11ed-bc84-39595de415e4.shtml https://tg24.sky.it/mondo/2022/09/23/iran-proteste-mahsa-amini-raisi https://it.euronews.com/2022/09/22/sale-il-bilancio-dei-morti-in-iran-dopo-la-morte-di-mahsa-amini https://www.lastampa.it/cronaca/2022/09/29/news/docente_a_roma_taglia_i_capelli_a_una_studentessa_iraniana_il_gestoper_la_protesta_delle_donne_a_teheran-9953610/ https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/09/28/iran-la-famiglia-di-masha-amini-denuncia-gli-agenti-che-lhanno-arrestata-la-polizia-useremo-tutta-la-nostra-forza-contro-le-proteste/6820979/

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