I giornali parlano sempre meno dell’Iran e si ha l’impressione che i movimenti di rivolta abbiano progressivamente rallentato. Tali rivolte sono iniziate molto tempo fa, ma si sono intensificate in seguito alla morte di Mahsa Amini. Andiamo ad analizzare la situazione più nel dettaglio.
Prima del 1979, anno dell’arrivo al potere dell’ayatollah Khomeyni, la rivoluzione bianca o la rivoluzione del Re aveva fortemente modernizzato l’Iran e la sua società. Tra le varie riforme, lo Shah Pahlavi aveva assicurato un’importante evoluzione dei diritti delle donne. Purtroppo, la società iraniana dell’epoca era ancora molto conservatrice e ha permesso l’ascesa al potere del partito islamista nel 1979. Già allora, quando La Repubblica islamica fu proclamata ufficialmente, molte donne sono scese in strada per protestare contro il regime islamico, ma senza grandi risultati. Da allora, le loro vite hanno cominciato ad essere regolate dalla Sharia, la quale è la legge islamica che regola la vita religiosa, politica, sociale e individuale ed è applicata in modo più o meno rigoroso in molti Stati musulmani. In effetti, il velo non è legalmente vincolante in quasi tutti i paesi islamici, ad eccezione di quattro: Iran, Arabia Saudita, Afghanistan e Pakistan. Nel 1979, in Iran, le donne si vedono negate l’accesso alle varie posizioni politiche e al diritto di voto; inoltre, il velo viene reso obbligatorio e, in uno spirito patriarcale, le donne diventano vere e proprie proprietà del padre o del marito.
Successivamente, dopo l’introduzione delle sanzioni economiche occidentali e l’intensificazione delle relazioni con la comunità internazionale, alcune riforme sono state introdotte dal 1992 al 1997 garantendo l’accesso delle donne agli studi superiori, il diritto di voto e una partecipazione alla vita politica, che resta tuttavia molto limitata. Purtroppo, nonostante questi miglioramenti, il velo rimane obbligatorio e la situazione è estremamente complicata. Le donne sono isolate nei trasporti, sottoposte alla pena di morte in caso di adulterio o di legittima difesa e restano fortemente sottorappresentate nel mondo politico. Questo è il background socio-politico in cui è avvenuto l’omicidio di Mahsa Amini.
Nel settembre 2022, Mahsa Amini si recò a Teheran per visitare suo fratello. Il 13 settembre fu arrestata dalla polizia di Teheran per non aver indossato correttamente il velo. Le circostanze dell’arresto rimangono incerte e, sebbene la polizia abbia dichiarato di non aver avuto alcun contatto con la donna, Mahsa è morta il 16 settembre a seguito di un attacco cardiaco, secondo le istituzioni. Molte sono state le reazioni da parte delle comunità iraniana e internazionale dopo questo evento: numerose donne hanno diffuso video in cui si tagliavano i capelli in omaggio alla giovane donna e per protestare contro le regole imposte su di loro.
Le successive rivolte mostrano che la popolazione è pienamente consapevole della gravità della situazione in cui si trova il paese. Dall’inizio del 2022, il popolo iraniano aveva iniziato a protestare contro la terribile gestione della situazione economica nel paese e la catastrofica conduzione della crisi pandemica, che non ha fatto altro che aumentare il disagio in cui si trovava l’Iran. La morte di Mahsa Amini è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso da cui è scaturita la richiesta, da parte degli iraniani, di un cambiamento di regime e la fine della teocrazia. Difatti, sebbene siano stati in minoranza nelle manifestazioni anti-velo nel 1979, proprio gli uomini hanno capito oggi che un reale miglioramento della situazione economica può avvenire solamente attraverso la liberazione delle donne e la fine del regime teocratico. Possiamo anche ricordare i calciatori iraniani che, in segno di protesta, non hanno cantato l’inno nazionale iraniano ai mondiali del Qatar, rischiando di mettere in pericolo se stessi e le loro famiglie. Le immagini delle rivolte e delle reazioni delle donne hanno fatto il giro di tutti i social network: le donne invocano la fine del regime teocratico sventolando il loro velo sopra le loro teste con parole come “morte al dittatore!” e lo slogan «donna, vita, libertà»
Infatti, la reazione delle donne iraniane non si è fatta attendere. Sara Khadem, famosa giocatrice di scacchi iraniana, ha deciso di giocare senza velo e questa decisione è stata interpretata dal regime come un segno di vicinanza alle manifestazioni degli ultimi mesi. Inoltre, l’attivista per i diritti umani Shirin Ebadi è intervenuta a sostegno delle donne iraniane. È stata la prima e l’unica donna in Iran a ricevere il premio Nobel per la pace nel 2003 e ha ispirato una generazione di attivisti attraverso la sua attività di avvocato per i diritti umani. La militante è al corrente dei rischi che corrono coloro che protestano, ma, nonostante ciò, ella rimane molto fiduciosa e sicura che un cambiamento avverrà in futuro grazie all’azione di tutte queste donne.
Purtroppo, il regime iraniano continua a rispondere con l’oppressione, il ricorso alla polizia e le condanne a morte. Le autorità sono consapevoli che le recenti manifestazioni sono state organizzate per rovesciare la situazione nello Stato iraniano. Per il momento, la reazione della comunità internazionale resta tuttavia leggera e si limita a una condanna pubblica delle azioni condotte dal regime iraniano per reprimere le manifestazioni, come le condanne a morte a danno di numerosi attivisti. Ad esempio, il Consiglio europeo ha stilato un elenco di persone soggette a misure restrittive e ha introdotto un divieto di esportazione di strumenti che possono esseri utilizzati a fine di repressione interna verso l’Iran; ma ciò resta insufficiente.
I precedenti sono solo esempi di donne che hanno avuto l’opportunità di sfuggire a questo regime repressivo. L’esilio volontario non è la soluzione e occorre garantire una vita dignitosa alle donne che rimangono in Iran. Le sanzioni internazionali non possono fare questo cambiamento perché sappiamo che possono colpire seriamente la popolazione a livello economico. In conclusione, possiamo chiederci: quale potrebbe essere la soluzione? Certo, è evidente che questi movimenti rivoluzionari porteranno alla fine della dittatura religiosa, ma come organizzarsi in seguito? Il modello democratico occidentale non dovrebbe essere imposto al popolo iraniano, perché ogni popolo ha il diritto all’autodeterminazione e gli iraniani devono decidere autonomamente, mediante referendum, la forma di governo più adatta a loro. Tutto questo perché gli iraniani sono ormai consapevoli della necessità di un cambiamento radicale che possa garantire un nuovo governo democratico e laico, che rispetti le libertà di tutti, senza eccezioni.
A cura di Rosita Lacetra