Il conflitto in Nagorno-Karabakh
Il conflitto in Nagorno Karabakh è la più longeva disputa irrisolta nel Caucaso Meridionale. Si tratta di un contrasto interminabile, come dimostrato nel settembre 2020, quando Armenia ed Azerbaijan sono tornati di nuovo in guerra per contendersi lo stesso territorio per cui avevano già combattuto nel 1992-1994. Gli azeri sono prevalsi in quest’ultimo scontro, riconquistando parte della zona che avevano perso nella guerra precedente.

Il cuore del conflitto consiste nell’irrisolvibile questione sullo status del Nagorno-Karabakh, abitato principalmente da Armeni, che considerano il territorio una loro provincia, a cui sono legati per ragioni etniche, storiche e religiose. Gli Azeri, allo stesso modo, ritengono il Karabakh parte integrante del loro paese, sia culturalmente che economicamente. A livello internazionale, il Karabakh è riconosciuto come parte dell’Azerbaijan.
Nonostante l’accordo di cessate il fuoco del novembre 2020, le due parti non sono pervenute ad un trattato di pace. Quale può essere, allora, la strada da perseguire per un’efficace risoluzione del conflitto?
Importante è considerare la funzione che hanno assunto gli attori internazionali riguardo alla questione. Un elemento chiave è il ruolo giocato da Mosca, che, sebbene abbia una partnership formale con l’Armenia, ha mantenuto forti relazioni bilaterali anche con l’Azerbaijan. Dal 1997, insieme con Francia e Stati Uniti, la Russia ha svolto un ruolo di spicco a livello diplomatico, divenendo mediatore de facto.
In seguito all’invasione dell’Ucraina, però, gli equilibri internazionali sono cambiati, generando ripercussioni sul processo di pace armeno-azero. Si è assistito ad un sostanziale “congelamento” delle attività negoziali svolte dal gruppo di Minsk.
In questo scenario, crescente è risultato il ruolo di mediazione dell’Unione Europea, che ha dichiarato di volersi porre come un “honest broker”, pronto a fare il massimo per rivitalizzare la diplomazia e risultando così essere il miglior attore a cui rivolgersi per rafforzare le prospettive di pace. Gli incontri promossi dal presidente del Consiglio europeo, Michel, con il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev, stanno già avviando un confronto costruttivo tra i due paesi.
L’Unione Europea, quindi, essendo in una posizione privilegiata, dovrebbe adottare la seguente strategia:
- Sviluppare un’agenda per ulteriori negoziati, creando gruppi di lavoro e missioni su specifiche questioni al fine di:o Monitorareilrischiodiscontriviolentilungolalineadiconfinearmeno-azera.
o Identificarenuoviattoricoinvoltinelconflitto.
o Ampliarelagammadimisurepolitichedaintraprendere,tenendocontodellasocietàcivile, da troppo tempo esclusa dagli sforzi di mediazione. - Non sostituirsi completamente alla Russia, che detiene il ruolo di peace-keeper formale finoal 2025, ma puntare sull’introduzione di organismi e negoziati bilaterali tra le due particoinvolte, evitando un processo di pace internazionalizzato, rivelatosi già un insuccesso.
- Chiarire, in qualità di più grande donatore di fondi alla regione, di essere disposta a finanziare un dividendo di pace per alleviare i problemi socioeconomici più urgenti di entrambe le parti, soprattutto incrementando fondi per la rimozione di mine antiuomo e ordigni inesplosi,pericolosi per la ricostruzione e la ripopolazione del Karabakh.
- Promuovere un dialogo diretto di Baku con i residenti del Karabakh per un futuro accordo di pace. Si devono rassicurare gli abitanti della zona, garantendo loro sicurezza e diritti di base. In seguito alla sconfitta del 2020, gli Armeni del Karabakh hanno riconosciuto di essere sempre più dipendenti dall’Azerbaijan quanto a fonti di energia e a beni di sussistenza5. Seguendo una prospettiva più liberale, è proprio a partire da un processo di integrazione economica che si può favorire il dialogo.
- Implementare il piano per la ristrutturazione delle vie di trasporto regionali che faciliterebbe i collegamenti tra il Nakhchivan e l’Azerbaijan. Questa strategia soddisfarebbe gli interessi condivisi russi, turchi e azeri e, allo stesso tempo, garantirebbe benefici economici e politici all’Armenia.
- Impegnarsi con la Turchia, che, negli ultimi anni ha stabilito contatti con l’Armenia, incoraggiando le proposte di Ankara a sostegno di un reciproco impegno turco-armeno.
Per mettere fine alla rivalità, dunque, è necessario un percorso che proceda step by step, evitando una serie di misure “a pacchetto”, rivelatesi fallimentari. Nel breve periodo, è fondamentale una gestione del conflitto protesa ad evitare che le due parti tornino a scontrarsi. Nel lungo periodo, seguendo un approccio marxista e costruttivista, si deve passare ad una logica di trasformazione del conflitto, lavorando all’interno delle due società piuttosto che tra di esse. L’obiettivo finale, per una pace duratura, è quello di creare fiducia politica tra le parti, in due paesi in cui “le persone pianificano la propria vita attraverso il prisma del conflitto, intorno al conflitto e all’interno del conflitto7″.
A cura di Martina Fabri