La NATO e il cambiamento climatico:
Il 28 settembre 2020, il Segretario Generale dall’Organizzazione del Trattato Atlantico del Nord (NATO), Jens Stoltenberg, ha tenuto una conferenza rivolta ai giovani sulle nuove sfide che l’Alleanza deve fronteggiare oggigiorno.
Partendo Nel suo discorso Jens Stoltenberg ha illustrato come nel corso degli anni le minacce a cui deve far fronte la NATO sono cambiate radicalmente. Nel 2020, un attacco militare a uno dei paesi membri dell’alleanza sembra uno scenario abbastanza surreale. Le nuove minacce alla sicurezza nazionale, infatti, non sono visibili, non militari e spesso sono difficili da identificare. Tra queste nuove minacce spicca e figura il cambiamento climatico. Questo si differenzia addirittura dal classico concetto di “minaccia” in quanto rappresenta un processo ormai in atto su cui, purtroppo, non si può più agire in maniera preventiva ma ci si può solo adattare e provare a contrastare il futuro aggravarsi della situazione.
Perché un’organizzazione di natura militare dovrebbe combattere un fenomeno come il cambiamento climatico?
È la domanda a cui Jens Stoltenberg ha provato a rispondere nel suo discorso.
Per la NATO, il cambiamento climatico è una tra le principali fonti di insicurezza oggigiorno. È la principale causa di disastri ambientali, che mettendo in ginocchio intere città ed aree del mondo genera flussi migratori. Mette in competizione le nazioni per l’accesso a nuove risorse naturali, sempre più scarse, rendendo così il sistema internazionale più instabile, ma soprattutto, rende sempre più difficile l’intervento delle forze armate in situazioni di emergenza.
Alla base dell’interessamento della NATO nei confronti della lotta al cambiamento climatico vi è perciò una ragione puramente pratica: le forze armate, date le condizioni climatiche sempre più avverse, hanno difficoltà ad operare e sono esposte, sempre più, a maggiori rischi. Da un lato, infatti le alte temperature o i disastri ambientali impediscono l’azione delle forze armate. Basti pensare alle difficoltà che le truppe che costituisco le training mission NATO hanno avuto quest’estate in Iraq quando le temperature hanno sfiorato i 50° gradi. Dall’altro la mancanza di materiali o equipaggiamenti capaci di resistere a temperature estreme mette a rischio la sicurezza dei soldati e delle missioni. In altre parole, il cambiamento climatico rende più deboli gli interventi militari.
Cosa ha realmente fatto per il cambiamento climatico la NATO ?
Anche se probabilmente non è molto risaputo, e in pochi se lo sarebbero mai aspettato, la NATO è stata una delle prime organizzazioni internazionali a riconoscere la centralità del cambiamento climatico e gli effetti negativi che il mancato rispetto della salvaguardia ambientale hanno sulla sicurezza delle nazioni. È per questa ragione che a partire dagli anni 70 l’Organizzazione ha avviato una serie di accordi sul rispetto di linea guida e standards a cui i paesi membri devono attenersi per il rispetto dell’ambiente. Ha inoltre instituito due gruppi specializzati per garantire la tutela dell’ecosistema: Enviromental Protection Working Group (EPWG) e Specialist Team on Energy Efficiency and Enviromental Protection (STEEP). Il primo ha lo scopo di ridurre l’impatto ambientale delle attività militari fornendo ai paesi membri standard e documentazioni sulle migliori pratiche attualmente in atto. Il secondo, invece, mira a migliorare l’efficienza energetica e ad aumentare l’utilizzo di materiali e risorse ecologiche negli strumenti militari. Altro mezzo che da sempre viene usato dalla NATO per migliorare l’impatto ambientale degli interventi militari e allo stesso tempo migliorarne l’efficienza in condizioni climatiche sempre più avverse è l’utilizzo degli STANGA anche conosciuti come Standardization Agreement. Questi sono documenti in cui sono contenuti standard a cui gli stati membri acconsentono ad omologarsi per creare maggior cooperazione e coordinazione nelle pratiche militari.
Ma l’impegno della NATO è in continua evoluzione. L’obiettivo futuro è quello di cercare di ridurre a zero le emissioni di carbonio prodotte dagli apparati militari dei vari stati membri. La Nato mira a una “green defence” ossia una difesa basata interamente su sistemi di produzioni e apparecchiature che abbiano un impatto ambientale minimo. Alcuni stati membri, come USA, Canada e Germania hanno già iniziato la sperimentazione di nuove apparecchiature alimentate con energia rinnovabile, nel mentre però, anche la NATO ha fatto al sua parte rendendo ad esempio il quartiere generale a Bruselles un green building al 100%.
Flavia Troisi
References
-https://www.nato.int/cps/en/natohq/opinions_178355.htm