Una discussione con il professor Enzo Le Fevre, la dottoressa Silvia Francescon e l’autore del libro Matteo Laruffa
Venerdì 26 febbraio ASP ha organizzato una conferenza con Matteo Laruffa, PhD in politics alla Luiss e autore del libro “L’America di Biden”. Alla conferenza sono stati invitati come guest speaker la dottoressa Silvia Francescon e il professor Enzo Le Fevre.
Il libro si concentra sulle dinamiche strettamente interne alla realtà americana che spesso rimangono oscure o ignote per noi europei, facendo chiarezza sul perché di certi avvenimenti, come il caso Capitol Hill, e spiegando con grande precisione e accuratezza come Trump abbia cambiato il modo di approcciarsi alla presidenza, andando a rovesciare diversi dogmi della politica americana.
Come suggerisce la dottoressa Silvia Francescon, le due parole chiave con cui leggere il libro e quindi comprendere le politiche di Trump sono Politicizzazione e Radicalizzazione, per le quali si dice profondamente preoccupata: la comunicazione di Trump fondata sull’odio e sul politically s-correct può aver creato un precedente non indifferente nella politica americana che ha causato un ulteriore inasprimento delle divisioni sociali che già da anni lacerano il paese e ha portato a derive eclatanti e gravissime come abbiamo avuto modo di vedere lo scorso gennaio,. Tale polarizzazione politica e rinnovata partigianeria ha reso fragile anche il lungo periodo di transizione che intercorre tra la vittoria delle elezioni e l’effettiva entrata in carica del presidente: prima di Trump questo non aveva mai costituito un problema, in quanto sia il passaggio di consegne che il relativo discorso di insediamento si erano sempre svolti in un clima di ossequiosità, all’insegna dell’unità, in un’ottica cioè di favorire una transizione quanto più serena possibile per garantire la stabilità della nazione tutta, cosa che Trump ha assolutamente rinnegato.
Questo non costituisce però un pericolo solo per l’ordine pubblico e sociale (con mobilitazioni politiche che si fanno sempre più violente) ma un rischio concreto per la sicurezza del paese: un ritardo nella consegna dei dossier dell’intelligence all’allora Presidente-eletto Biden espone il paese a possibili attacchi esterni, soprattutto terroristici (come si ipotizza possa essere successo l’11 settembre 2001). Delegittimazione di istituzioni e avversari, quindi, ma non solo.
Il professor Le Fevre riflette sul come Trump abbia violato alcune regole non scritte della Casa Bianca, tra cui la forte politicizzazione delle forze armate, da sempre il bigliettino da visita dell’America nel mondo, e l’essersi circondato dei cosiddetti “yes men”.
Storicamente l’America si è sempre mossa in politica estera con l’intento di salvaguardare le istituzioni americane e ad agire è l’Istituzione americana nel suo complesso, non solo il Presidente. Se quindi paragoniamo le più recenti mosse di Biden in Medio Oriente con quelle del suo predecessore, ci accorgiamo di come, nel caso del nuovo Presidente, le decisioni di eventuali attacchi siano prese più coralmente e con il supporto dell’establishment di Washington DC.
Inoltre è indubbio come la presidenza abbia avuto la funzione di nuova benzina per il decadente impero economico trumpiano. In seguito alla polarizzazione creata e all’accentramento di consenso e potere nella persona di Trump l’impiego di suoi hotel, di suoi servizi di organizzazione di eventi od anche l’acquisto in negozi di sua proprietà è aumentato esponenzialmente. Altro fenomeno fondamentale da tener conto, secondo il professore, è l’impatto devastante avuto dalle fake news, Le Fevre enfatizza come il Presidente Trump avesse suggerito ai propri elettori di iniettarsi della candeggina al fine di eliminare il virus, ovviamente causando enormi ai pochi che decisero di seguirlo.
A far riflettere non devono essere tanto le fake news in sé ma come queste riescano a trovare seguito, come esistano supporters che sarebbero disposti a fare di tutto pur di sostenere il proprio eroe.
Da questa mitizzazione dell’ex Presidente nasce una fondamentale riflessione per il partito repubblicano, che potremmo descrivere come un bivio: confermarsi ancora come “il partito di Trump” e sfruttare nuovamente il suo impatto mediatico o riorganizzarsi e assumere toni più moderati. Anche i rivali democratici, nonostante la vittoria, sono chiamati a ripensarsi considerando le nette fratture interne che si stanno profilando tra le ali più fortemente di sinistra e più liberali e moderate.
Alla luce del lascito della presidenza Trump le sfide che dovrà affrontare ora Biden (nonostante la scarsa maggioranza in parlamento) sono molteplici.
A detta di Laruffa quello di Biden sarà un governo solo transitorio, col compito di traghettare l’America fuori dal momento di crisi quasi totale, proprio come fecero Lincoln o Roosevelt. Al Presidente spetta il compito di proporsi come collante e cercare di ripristinare l’unità nazionale cercando di vincere la dinamica di partisanship che ha caratterizzato l’era Trump.
Altra questione spinosa sono i rapporti con la Cina: la mancata approvazione dell’innalzamento del salario minimo causerà un impoverimento del potere d’acquisto della classe più povera, stallo che potrebbe essere superato favorendo il low-cost cinese; sarà quindi fondamentale cercare di riallacciare i rapporti o almeno stemperare le tensioni con il paese orientale.
A riguardo sarà interessante vedere come gli States influenzeranno le relazioni tra Italia e Cina in risposta alla “Belt and road initiative”: il belpaese infatti è stato il primo a manifestare segni di apertura nei confronti del gigante cinese, andando di fatto a porsi al centro dei due blocchi. La venuta di Draghi potrebbe però rappresentare in questo senso un riavvicinamento e un rinnovamento degli accordi dell’Alleanza atlantica anche in relazione alla ripresa post covid e crisi ambientale.
Quest’ultima è l’altra grande sfida del nuovo governo statunitense, in questo senso si sono già già mossi rientrando negli accordi di Parigi che precedentemente erano stati bistrattati da Trump; non è un azzardo pensare che Biden in questo senso vorrà tracciare una netta rottura proponendosi come nuovo leader per combattere il cambiamento climatico, magari puntando ad istituire una nuova struttura multilaterale che sia permanente. Tali sfide di certo non sono semplici, hanno carattere generazionale, e per essere superate necessitano di una collaborazione su scala globale e di una capacità e volontà progettuale di cui si spera Biden sia dotato. Ora come ora a dare speranza è il motto con il quale il neo Presidente ha presentato il suo team: “Experienced, immaginative, innovative”. Non ci resta che stare a vedere.
Un riassunto di Tommaso Palmieri