L’UE nel fuoco incrociato di USA e Cina

La potenza emergente, la potenza egemone… e l’UE

Conclusasi l’era Trump, l’America torna a reclamare il proprio posto a capotavola. La situazione cui si trova davanti è però diversa rispetto a quattro anni fa, con un assetto internazionale profondamente mutato da una serie di contingenze. In primis, da un virus che ha messo in ginocchio l’economia e il morale mondiale. In secundis, da Donald Trump che sacrificando il multilateralismo in nome dell’America First[1], e a suon di dazi verso gli alleati storici, è riuscito a far crollare il primo baluardo del sistema internazionale: l’Occidente a guida USA. In un contesto così delineato, non è scontato che lo scettro del potere globale ricada nelle mani degli States di Joe Biden. Ad ambirlo, infatti, c’è anche la Cina, all’apice della sua ascesa economica e tecnologica, che grazie alle rotture politico-economiche della precedente amministrazione statunitense si è facilmente insinuata nel continente europeo, andando a colmare il vuoto di potere lasciato dalla potenza egemone, concludendovi importanti accordi economici e commerciali. Tra le due superpotenze, l’Europa, ago della bilancia nella competizione internazionale. Biden vuole riavvicinarla in nome della storica alleanza politica e vicinanza di ideali. Pechino, dall’altra parte, rappresenta per l’UE la promessa di un vasto mercato commerciale e di infinite possibilità di espansione economica. La domanda sorge quindi spontanea: l’UE sarà chiamata a prendere posizione? 

I piani della nuova America di Biden

La minaccia di un potenziale nuovo ordine internazionale aleggia sugli Stati Uniti più concreta che mai. In particolare, essa pesa come un macigno sulla testa del Presidente neoeletto, ben consapevole della responsabilità che grava sulle sue spalle: riprendere le redini dell’Occidente democratico. Per cominciare, bisogna abbandonare la strategia trumpiana, prima grande colpevole dell’allontanamento europeo, e riconquistarsi la fiducia perduta del Vecchio Continente. In quest’ottica, le parole chiave della nuova amministrazione sono multilateralismo, accordi strategici, democrazia, ma soprattutto diplomazia. Da qui la dichiarazione alla Ministeriale della Difesa NATO dello scorso febbraio sul desiderio di rivitalizzare l’Alleanza Atlantica per far fronte alle comuni minacce dei prossimi decenni. Tra queste, seconda solo dopo la Russia, la Cina, non più riducibile a mera concorrente economica o a potenza regionale, ma rivale sistemica su tutti i fronti[2]. Per il contenimento della RPC sarà fondamentale che gli USA riesumino le alleanze nella regione asiatica puntando alla collaborazione con vecchi e nuovi interlocutori, soprattutto dopo il fallimento del TPP[3] e la massiccia mobilitazione cinese verso nuovi mercati. La politica di Biden dovrà essere fatta anche di compromessi, da tempo attesi dall’UE per stilare un accordo comune sulla tassazione delle multinazionali digitali della Silicon Valley. 

Pechino non ha perso tempo

Se l’America è stata la grande assente degli ultimi anni, la Cina ne ha approfittato per accelerare la sua corsa verso l’egemonia, espandendosi indisturbata in nuovi mercati e intraprendendo, incontestata, nuove importanti collaborazioni commerciali. Con l’Italia, ad esempio, che rientra nei paesi aderenti alla Bealt and Road Initiative (Bri), l’iniziativa con cui Xi Jinping punta a investire miliardi in infrastrutture e modernizzazione in ben 60 nazioni. Ma anche con l’Asia Pacifica, a cui è saldamente legata dall’accordo di libero scambio dello scorso 15 novembre (Regional Comprehensive Economic Partnership). E, soprattutto, con l’Unione europea, assieme alla quale ha concluso il Comprehensive Agreement on Investment, accordo senza precedenti che apre il mercato cinese agli investitori europei e rivede la parità di condizioni tra le imprese delle due aree. L’Impero del Centro[4] non cela le sue intenzioni, che sono insieme politiche, economiche e geopolitiche. E se il primo mezzo per raggiungere il suo scopo è l’attrazione esercitata dal vasto mercato cinese, non esita a sfruttarlo per stringere intese bilaterali e regionali, le cui implicazioni politiche mettono in crisi i suoi rivali, attraverso una strategia del divide et impera che mira a ridisegnare gli equilibri globali, rischiando di spodestare l’egemonia statunitense. La meta? Il titolo di guida di un nuovo ordine internazionale. 

Una questione di principio

L’epico scontro tra la superpotenza e la pretendente al trono globale è scritto nella storia, affondando le sue radici in visioni che per definizione sono destinate a non incontrarsi mai. Dalla cultura all’economia, dagli usi alle forme di governo, USA e Cina impersonano due modi opposti e inconciliabili di vedere il mondo, da sempre. Si tratta di una lotta di ideali, prima di tutto, la difesa imperterrita dei quali scoperchia il vaso di Pandora delle guerre commerciali, delle comunicazioni gelide e delle prese di posizione. Infatti, con tutta probabilità i toni reciproci continueranno ad essere freddi anche nel corso dell’attuale amministrazione[5], con una Pechino affatto intenzionata a ripercorrere i suoi passi su qualsivoglia questione, da Taiwan allo Xinjiang, fino ad Hong Kong.

UE davanti a un aut aut?

La “sfida esistenziale”[6] che l’Unione è chiamata ad affrontare non ha soluzioni facili, né immediate, visto che gli Stati membri raramente si muovono all’unisono. Secondo un autorevole parere[7], tuttavia, non occorre rifletterci troppo: l’Europa deve senz’altro volgere lo sguardo all’altra sponda dell’Atlantico. Tale posizione sarebbe dettata da ragioni storiche, certamente, ma soprattutto culturali e politiche. In particolare, sarebbe difficile sorvolare sulla già menzionata natura autoritaria della macchina statale cinese, così come sulle gravi violazioni dei diritti umani di cui la Repubblica Popolare si macchia periodicamente, per poi nascondersi dietro lo scudo della non ingerenza negli affari interni. Insomma, in termini di interessi europei, molti[8] intravedono nella collaborazione transatlantica la via maestra per un ripristino della leadership democratica internazionale in ambito politico, economico e militare. Secondo l’argomento per cui l’Europa potrebbe tornare a prosperare nell’ambito di un ritrovato multilateralismo, mentre sarebbe destinata a soccombere in un mondo di grandi potenze[9].

Ludovica Blotti

Bibliografia

Crippa, P., Dentice, G., Di Liddo, M., Iacovino, G., Manenti, F., ‘Back to the future? La politica estera secondo Joe Biden’, Centro Studi Internazionali, gennaio 2021. 

Fabbrini, S., “L’accordo con la Cina e le omissioni dell’Europa”, Luiss Open, 7 gennaio 2021.

NATO 2030. United for a New Era. Analysis and Recommendations of the Reflection Group Appointed by the NATO Secretary General, 25 novembre 2020. 

Pisu, R., “La sindrome dell’Impero di mezzo”, Il Manifesto, 27 maggio 2020.

Pop, A., Grigoras, R., ‘Towards a bifurcated future in the US-China relationship: What is in it for the EU?’, Futures, vol. 125, gennaio 2021, p. 10.


[1] Cfr. P. Crippa, G. Dentice, M. Di Liddo, G. Iacovino, F. Manenti, ‘Back to the future? La politica estera secondo Joe Biden’, Centro Studi Internazionali, gennaio 2021, p. 14.  Cui si rimanda per un accurato approfondimento delle possibilità della nuova amministrazione Biden. 

[2] Cfr. NATO 2030. United for a New Era. Analysis and Recommendations of the Reflection Group Appointed by the NATO Secretary General, 25 novembre 2020, p. 27.

[3] “Trans-Pacific Partnership”, trattato di libero scambio fra 12 nazioni affacciate sull’Oceano Pacifico (Cina esclusa!) e gli USA, non entrato in vigore perché non ratificato da un numero sufficiente di Stati.

[4] È questa l’espressione spesso utilizzata per riferirsi alla Cina. La sua diffusione in Occidente è probabilmente dovuta a Samuel Wells Williams, che nel 1838 pubblicò il libro “The Middle Kingdom”. Per saperne di più si veda R. Pisu, “La sindrome dell’Impero di mezzo”, Il Manifesto, 27 maggio 2020.

[5] Le relazioni Usa-Cina hanno toccato il loro punto minimo da decenni proprio nel corso del quadriennio Trump.

[6] La sfida USA-Cina è stata così definita dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE Josep Borrell in occasione della Conferenza annuale degli ambasciatori tedeschi. 

[7] Cfr. S. Fabbrini, “L’accordo con la Cina e le omissioni dell’Europa”, Luiss Open, 7 gennaio 2021. 

[8] Si veda, tra gli altri, A. Pop e R. Grigoras, ‘Towards a bifurcated future in the US-China relationship: What is in it for the EU?’, Futures, vol. 125, gennaio 2021, p. 10.

[9] Cfr. S. Fabbrini, op. cit.

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