Perché è importante festeggiare il 25 aprile

Perché festeggiamo il 25 aprile e perché è fondamentale continuare a festeggiarlo?

Questa è la domanda che mi sono posto dopo aver ascoltato la puntata numero 96 del podcast di Alessandro Barbero “Ieri partigiani, oggi antifascisti”.

Quella che voglio proporre oggi è la mia riflessione su questo tema, con la quale cercherò anche di capire perché sia importante (e cosa voglia dire) essere partigiani oggi.
A mio parere questo discorso è importantissimo soprattutto per una generazione come la nostra che, fotunatamente non ha conosciuto gli orrori della guerra, ma che purtroppo ha sempre meno possibilità di parlare con chi ha vissuto in prima persona quei mesi di occupazione straniera sul suolo del nostro paese.

Dico occupazione straniera perché, dopo l’armistizio del ‘43, l’esercito nazista invase militarmente parte del nostro territorio nazionale. Conoscete tutti gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi lunghissimi mesi di guerra e infatti non è di quelli che parlerò. È però in questo contesto che si sviluppa il fenomeno della resistenza, la cui importanza tanto militare quanto simbolica ha cambiato il corso del conflitto e, più in generale, della nostra nazione.

Oggi purtroppo si sente troppo spesso parlare della resistenza in modo superficiale e senza che venga preso in considerazione il contesto in cui questa è avvenuta. Troppi in Italia non festeggiano la giornata di oggi, non considerando questa festa importante come le altre eppure, se i partigiani non avessero compiuto questa incredibile opera, con ogni probabilità oggi non saremmo una Repubblica.

Il problema risiede nel fatto che questo straordinario evento sia stato politicizzato negli anni successivi alla fine del conflitto mondiale.

La falsa notizia che la partigianeria sia stata un’opera di matrice comunista è errata, non tanto perché non ci fossero comunisti nelle fila della resistenza, ma in quanto i partigiani rappresentavano l’Italia di allora nella sua interezza, demograficamente e politicamente.

Nella puntata del podcast il professor Barbero parla di come uno dei dirigenti della resistenza torinese fosse il marchese Felice Cordero di Pamparato che, fino a poco prima dell’armistizio, aveva combattuto per l’esercito regio contro le forze alleate in Sicilia. Il Comitato di Liberazione Nazionale vedeva la partecipazione di sei diversi partiti, tanto di destra quanto di sinistra, che coprivano quasi interamente lo spettro politico di allora, tutti accumunati dalla causa antifascista.

È chiaro quindi che la resistenza rappresentava uno spaccato della società italiana, comprendendo quindi anche una componente di ispirazione socialista che, per predisposizione tanto ideologica quanto per contingenze di carattere storico, si prestava meglio alle cause della partigianeria.

Se pensiamo anche a “Bella Ciao”, inno della resistenza, l’intrinseca connotazione politica di questa canzone si è sviluppata negli anni successivi alla guerra. Oggi è inevitabile immaginare una bandiera rossa ogni volta che la si ascolta, tanto da spingere molti politici di destra a mal sopportare chiunque la canti. Eppure, se pensiamo al testo della canzone, non si parla mai di comunismo, rivoluzione o quant’altro, bensì di resistenza, Libertà e lotta contro l’invasore.
Credo di poter affermare con quasi assoluta certezza che tutti gli schieramenti politici del tempo si rispecchiassero, almeno idealmente, nel testo della canzone.

Come siamo arrivati a questo? Com’è possibile che oggi, dopo più di 75 anni dalla liberazione, si possa discutere su quanto sia giusto festeggiare questa data?

Io credo che, come dice il professor Barbero nel suo discorso, almeno in parte questo fenomeno sia dovuto alla poco incisiva opera di defascistizzazione che è avvenuta nel nostro paese. La mancanza di un processo simbolico che segnasse una discontinuità tra l’Italia fascista e la prima Repubblica non ha vaccinato tutti dal credere che “in fondo Mussolini ha fatto anche cose buone”.


Sono però altrettanto convinto che questa non sia l’unica causa delle discussioni che ancora oggi avvengono su questo tema.


La nostra comprensione distorta e parziale di quello che avvenne in quei mesi ci può portare a pensare che azioni partigiane come la strage di via Rasella potessero essere, in fondo, anche solo parzialmente errate e che la resistenza non fosse del tutto “buona”.
Dobbiamo sempre ricordare però sia il contesto in cui ciò avvenne che chi si trovava dall’altro lato della barricata. In un contesto di guerra, azioni di tipo militaristico sono l’unica misura con cui si può rispondere al regime occupante nemico. Chi ha reagito all’azione partigiana nei 9 mesi di occupazione romana lo ha fatto con l’eccidio delle fosse Ardeatine. Ne consegue che, se pensiamo di poterci arrogare il diritto di ragionare sulla bontà della resistenza, dobbiamo innanzitutto ammettere che dall’altra parte, di buono, non c’era nulla.

Urge anche dire che i fascisti di allora, con ogni probabilità, credevano di essere dalla parte giusta. D’altronde anche noi crediamo di essere sempre dalla parte giusta, e per cose ben più sciocche. Figuriamoci come si sentisse una persona quando in gioco c’era un intero sistema di valori personali e di convinzioni politiche, per quanto sbagliate queste potessero essere.

La buonafede però può salvare l’anima del singolo, non una causa.

E la causa fascista era ed è sbagliata.

Ma quindi, che senso ha essere partigiani oggi? E soprattutto, cosa vuole dire?

Evidentemente essere partigiani oggi non ha lo stesso significato di 75 anni fa. Il mondo è cambiato, così come il nostro paese e chi lo abita. Questo però non significa che non abbia senso ispirarsi a chi ha combattuto per i propri valori ed ideali, mettendo in prima linea la propria vita per assicurarne una migliore a chi sarebbe venuto dopo.

Anche noi oggi abbiamo dei principi da difendere e per cui lottare. Se non si tratta di un invasore può essere il desiderio di salvare il nostro pianeta, ma non solo.

Il mio invito a voi è quello di pensare a cosa ritenete essere importante e di lottare per ottenerlo, e se lo avete già, per difenderlo.

La giornata della liberazione va festeggiata perché, da un lato ci ricorda di quello che ci siamo lasciati alle spalle e chi ci ha salvati ma, dall’altro, poiché simboleggia l’importanza di lottare sempre per quello che crediamo essere giusto e per i valori democratici e liberali che oggi caratterizzano il nostro stile di vita.

Quindi, almeno nel vostro piccolo, il prossimo 25 aprile pensate a cosa significhi questa data.

Umberto Costa Broccardi

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