Etiopia e Tigray (o Tigrè come veniva chiamata negli anni 30 in Italia): cosa fanno venire in mente questi nomi? Senza dubbio entrambe sono rimaste nella memoria del nostro paese. La regione del Tigray, infatti, rievoca tra le sue cime spoglie e sferzate dai venti i fantasmi di una guerra perduta nel 1896 e in più come il resto della sua nazione, ricorda l’avventura fascista nel Corno d’Africa cominciata alle 5:00 del mattino del 3 ottobre 1935. Ma qual è la novità oggi? Quello a cui il mondo assiste ora, in gran parte nell’ ignoranza o comunque con pochi sforzi diplomatici non è altro che una guerra civile cominciata con un’operazione dell’esercito federale etiope nella regione del Tigray. Ma come siamo arrivati a questo?
L’inizio delle tensioni

Tutto è iniziato già prima dell’inizio delle ostilità. Il TPLF (il partito che attualmente controlla la regione separatista) è stato per molto tempo, almeno dal 1991, la forza dominante nella coalizione di governo, il cosiddetto Fronte democratico rivoluzionario del Popolo etiope (EPRDF); un’alleanza multietnica, che ha guidato il Paese per quasi 30 anni prima che il primo ministro Abiy salisse al potere il 2 aprile 2018, sulla scia di un diffuso sentimento antigovernativo nazionale. Nel 2019, però il TPLF si è separato dall’EPRDF dopo essersi rifiutato di fondersi con gli altri tre partiti della coalizione nel neo formato Prosperity Party (PP), sotto il comando di Abiy (premio nobel per la pace). Inoltre l’Etiopia avrebbe dovuto tenere le elezioni nazionali ad agosto 2020, ma l’organo elettorale del Paese ha stabilito, a marzo dello scorso anno, che tutte le votazioni sarebbero state rinviate a causa della pandemia di coronavirus. I leader del Tigray però si sono rifiutati di accettare la decisione e sono andati avanti con le elezioni regionali a settembre. Il voto, tuttavia, è stato ritenuto “illegale” dal governo di Abiy.
Così il 4 novembre 2020, dopo che il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (TPLF) era stato ritenuto responsabile di aver attaccato una base militare delle forze governative a Dansha, Abiy, ha accusato il TPLF di tradimento e terrorismo e pertanto ha avviato una campagna militare per riportare l’ordine nella regione. L’offensiva era stata dichiarata conclusa il 29 novembre 2020, con la conquista della capitale regionale Mekelle, ma non fu la fine della guerra. Gebremichael, leader del TPLF quel giorno promise di continuare a combattere.
“La brutalità dimostrata dal governo federale può solo rafforzare la nostra determinazione a combattere questi invasori fino all’ultimo, si tratta di difendere il nostro diritto all’autodeterminazione”
DEBRETSION GEBREMICHAEL, leader del TPLF
Il conflitto continua

I combattimenti, infatti, sono continuati nella parte centrale e meridionale del Tigray. In tale quadro, anche l’Eritrea, nonostante le smentite del governo etiope, ha inviato i suoi uomini a sostegno delle forze di Abiy molto probabilmente dovuto all’attacco missilistico nella notte tra il 27 e il 28 novembre, dopo essere stato lanciato dalla regione separatista. Alla fine, però, come dichiarato 2 mesi fa da Euronews, non solo Mekelle è stata riconquistata, ma ben 6000 truppe federali etiopi sono state fatte prigioniere e l’Eritrea a causa delle pressioni internazionali dell’Onu e Usa (e secondo alcuni analisti a causa della decimazione subita sulle montagne del Tigray) ha ritirato (ma solo per pochi mesi) le sue forze dalla regione.
La situazione si è ulteriormente complicata poiché con tale successo e la successiva riconquista di quasi tutta la regione, le truppe del TPLF hanno sconfinato, malgrado le richieste da parte degli Usa di fermarsi, marciando verso Addis Adeba. Con tale manovra hanno conquistato gran parte del territorio orientale della regione di Amhara e parte di quello occidentale dell’Afar. A complicare la situazione, non solo da entrambe le parti hanno cominciato a dichiarare genocidi contro i civili, ma Abiy ha dichiarato una mobilitazione generale a tutte le regioni dell’Etiopia. Le regioni dell’Afar e Amhara hanno accettato riportando in seguito diverse vittorie e riuscendo con le milizie di Amhara a isolare il Tigray. Le altre regioni, somale, in gran parte, non solo hanno rifiutato, ma secondo un analista residente in Kenya alcune loro milizie sembrano essere passate dalla parte dei separatisti.
“Nonostante forti pressioni di Mustafa Omar e della dirigenza Amhara noi rifiutiamo di inviare la nostra polizia, milizia e forze speciali a combattere una guerra che non riguarda il popolo somalo e in special modo rifiutiamo di partecipare alla crociata genocidaria orchestrata dai dirigenti Amhara”.
MOHAMED OLAD, leader dell’opposizione della “Somali Region”
La reazione dell’Onu

In questo complesso contesto le varie associazioni umanitarie, tuttora presenti in Etiopia, hanno cercato di contenere la scossa provocata dall’espulsione, avvenuta domenica 3 ottobre 2021, di sette funzionari delle Nazioni Unite. La motivazione dell’allontanamento è stata “confezionata” da Addis Abeba come una risposta alle interferenze che i funzionari dell’Unicef, dell’Alto Commissariato per i diritti umani e dell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari, hanno esercitato sugli affari interni del Paese. Secondo altre fonti diplomatiche di Addis Abeba, i sette funzionari espulsi hanno subito le conseguenze delle recenti affermazioni di Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, che ha accusato il Governo etiope di avere causato un blocco umanitario di fatto, che dalla fine di giugno ha permesso solo di consegnare l’11per cento degli aiuti alimentari necessari al Tigray.I rapporti con le organizzazioni umanitarie non sono stati mai buoni fin dall’ inizio della guerra. Infatti, nel novembre 2020, il Governo di Abiy aveva accusato, senza prove, le Ong di fornire armi ai “ribelli”. Così ad agosto, il Consiglio norvegese per i rifugiati, i responsabili delle agenzie Onu e Medici senza frontiere hanno dovuto sospendere le loro attività perché accusati, dalle autorità etiopi, di fornire materiale di comunicazione ai “ribelli” tigrini, ma anche di politicizzare la crisi umanitaria.
A seguito di tutto ciò il 14 giugno del 2020 il ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, ha ricevuto una delegazione etiope dove ha ribadito le preoccupazioni italiane circa il conflitto. La delegazione etiope, aveva assicurato che Addis Abeba si stava impegnando ai massimi livelli per fornire risposta alle preoccupazioni dei partner internazionali sulla crisi nel Tigray. Tuttavia cinque Paesi europei e gli Stati Uniti hanno convocato 2 settimane fa una riunione pubblica del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che ha stabilito l’avvio di nuove sanzioni contro l’Etiopia. Tale decisione, però, è stata condannata dalla Cina (dovuto probabilmente ad Aukos, accordo militare tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti). Va poi ricordato che dall’inizio della guerra del Tigray i membri del Consiglio non sono riusciti a trovare un accordo, a causa dei boicottaggi di alcuni Paesi.
La situazione attuale
Un vero cambiamento della situazione potrebbe essere cominciato dal 4 ottobre 2021 quando Abiy ha prestato giuramento per un nuovo mandato, promettendo di mettere fine alla guerra. Così l’ 11 ottobre 2021 l’ esercito nazionale etiope ha lanciato un’offensiva aerea e terrestre contro le forze della regione del Tigray. Attualmente l’offensiva “finale” sarebbe ancora in corso e le ultime notizie riferiscono di due bombardamenti nel Tigray; uno nel il distretto occidentale di Mai Tsebri, il secondo, nella città di Adwa, nel Nord della regione.
Cosa possiamo aspettarci a questo punto? Il mondo agirà con azioni rapide e concrete o alla fine o dovremmo aspettarci un’ ecatombe lunga e sanguinosa per diversi anni, con un conseguente aumento dell’immigrazione? Come ha scritto Elisabetta Trenta il 28/09/2020:
“In Etiopia si sta consumando una catastrofe umanitaria in seguito a una guerra di cui in Italia si parla troppo poco. Come italiani (ed europei) non possiamo restare a guardare, né limitarci al solo tentativo di inviare convogli emergenziali. Ne va dell’unità e della stabilità dell’Etiopia, del Corno d’Africa e dell’intera regione”
ELISABETTA TRENTA, ministro della Difesa italiano
A cura di Tommaso Bernardini
Resources
tigray italia impero 1935 etiopia – Panorama
Etiopia: Tigray, la caduta di Mekelle — L’Indro (lindro.it)
Italia: delegazione dell’Etiopia incontra Di Maio a Roma | Sicurezza internazionale | LUISS
Etiopia: il primo ministro giura per un nuovo mandato | Sicurezza internazionale | LUISS
Guerra in Etiopia, non possiamo restare a guardare. Scrive Elisabetta Trenta (formiche.net)