Siamo europei? O meglio, ci sentiamo europei? Di domande difficili ne esistono molte ma, ad oggi, nessuna contraddistingue le difficoltà e le contraddizioni della politica del vecchio continente come questa.
Sarebbe bello poter rispondere con un confidente e altisonante sì, sfortunatamente però questa risposta sarebbe indice di un’ingenuità che non ha posto in un mondo complesso come quello odierno. Per quanto alcuni di noi si possano sentire europei, la storia politica recente evidenzia una discreta mancanza di un’identità comune tra i popoli e i cittadini dell’Unione. Ci basti pensare all’ascesa dei populismi e ai discorsi di matrice identitaria/nazionalista che troppo spesso abbiamo sentito negli ultimi anni.
Eppure, siamo tutti europei. Dalla Svezia a Malta e dal Portogallo alla Bulgaria una cosa ci accomuna, ed è la bandiera blu con le stelle gialle appesa di fronte ad ogni edificio pubblico. Quella bandiera che rappresenta l’unione di un continente storicamente diviso, l’unione di 27 paesi che, per quanto diversi, si identificano in una matrice culturale e in una collezione di valori comuni.

Quest’unione ha un nonsoché di miracoloso. Se avessero detto a Jean Monnet o ad Altiero Spinelli, padri dell’Europa Unita, che un giorno neanche troppo lontano si sarebbe potuto viaggiare, lavorare e commerciare senza riguardo per i confini nazionali, di certo non sarebbero rimasti delusi. Noi oggi rischiamo di dare per scontato quello che scontato non è. La nostra generazione non ha conosciuto (fortunatamente) la guerra come non ha conosciuto i confini e di questo dovremmo essere eternamente grati.
‘L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani’ recita la celebre frase spesso attribuita a Massimo D’Azeglio, ebbene, oggi dovremmo dire ‘L’Europa è fatta, ora bisogna fare gli Europei’. Come nell’Italia postunitaria, per l’Europa di oggi la barriera più grande alla nascita di un’identità comune è quella linguistica.
La nostra generazione ha il compito di sfondare questa barriera. Noi nati dopo il trattato di Maastricht, nati già cittadini dell’Unione Europea, non abbiamo difficoltà a comunicare con i nostri coetanei di altri paesi. Abbiamo la fortuna di conoscere l’Inglese, lingua franca del mondo contemporaneo, e questo ci permette di scambiare le nostre idee con i nostri vicini. La comunicazione pone le fondamenta per la creazione di un senso di aggregazione e di appartenenza che si verrà a creare con il tempo.

Sia chiaro, le cose non succederanno da sole. L’integrazione europea passa da tanti altri nodi cruciali come la politica, l’avvicinamento delle istituzioni Europee ai cittadini, l’istruzione e la cultura.
In questo, programmi come l’ERASMUS hanno un ruolo fondamentale nel proiettarci verso gli altri paesi e sempre più iniziative nascono con l’intento di cementare l’identità comune di noi cittadini Europei.
Potreste aver sentito parlare della Conferenza sul Futuro dell’Europa. Questa conferenza si pone l’obiettivo principale di interfacciare i cittadini dei paesi membri dell’Unione con le istituzioni. Avremo la possibilità di elaborare proposte sul futuro dell’UE, contribuendo quindi al più grande processo di integrazione Europea. Non dobbiamo illuderci, il futuro dell’Europa siamo noi! Tocca a noi metterci in gioco e alzare la voce per il nostro futuro.
Oggi non siamo europei. Forse non lo saremo nemmeno domani, ma arriverà il giorno in cui proveremo fierezza guardando la bandiera blu con le stelle gialle a fianco del tricolore, allora si che saremo Europei.
A cura di Umberto Costa Broccardi, The Journal x Comitato per la Conferenza sul Futuro dell’Europa in Luiss