Amare è un arte? Riflessioni da Fromm ai social network

Non essere amati è una semplice sfortuna;

la vera disgrazia è non amare.

Albert Camus, “L’estate”

Nel 1956, Erich Fromm, psicologo e filosofo, dà alle stampe un piccolo testo chiamato “l’arte di amare”, nel quale riuscirà ad integrare le sue riflessioni professionali nel contesto della Scuola di Francorte, istituto al quale sarà legato per molti anni della sua carriera

L’arte di amare”, come lui stesso afferma nella prefazione, è tutt’altro che un libro di istruzioni da impugnare durante una relazione per cercare di impressionare il partner. L’autore al contrario si sofferma  nel sottolineare che l’amore non è un sentimento al quale ci si possa abbandonare senza aver raggiunto un alto livello di maturità e, se si accetta l’assunto che sia un’arte, non si può negare il fatto che necessiti di sforzo, saggezza e costanza

Dare o ricevere?

Uno dei maggiori equivoci quando si parla di amore è la confusione che si crea tra ciò che si desidera dal punto di vista narcisistico, ovvero essere amati, rispetto all’amare inteso come attività che, proprio in quanto tale, rifugge dal passivo attendere per confrontarsi con l’incerto, ma senza dubbio vivo, divenire. 

Quando una persona si aspetta di ricevere qualcosa, l’atteggiamento che assume altro non può essere che orientato alla passività, al freddo vigilare, calcolare o al massimo ipotizzare un arco temporale all’interno del quale l’oggetto atteso dovrebbe essere recapitato. Un po’ come tutti facciamo con Amazon. Ma capiamo bene che attendere l’amore come fosse un pacco da ricevere è un’attività (che di attivo ha pressoché nulla) destinata al fallimento

Amare, ci dice Fromm, è soprattutto dareMa cosa significa dare? Il malinteso più comune è che “dare” significhi cedere qualcosa, essere privati, sacrificare. La gente arida sente il dare come un impoverimento.

Per la persona attiva, ricca spiritualmente, dare equivale ad esprimere la più alta espressione di vita; nell’atto di dare sentiamo che la nostra vita ci appartiene, che siamo noi stessi, assumendoci le responsabilità, ad esser padroni delle nostre azioni e delle conseguenze di quest’ultime

Tuttavia, è necessario continuare la nostra indagine con una seconda domanda, che cosa dare?

La risposta dello psicologo tedesco è limpida: la sfera più importante del dare non è quella delle cose materiali, ma risiede nel regno umano. Se assumiamo l’ipotesi che al giorno d’oggi vi sia ancora qualcosa che riesca a svincolarsi dalla legge della domanda e dell’offerta, dal calcolo del valore d’uso o di scambio, quel qualcosa è proprio la nostra vita, le nostre emozioni. Intendiamoci, nessuno parla della vita fisica, materiale. La vita che doniamo è costellata dalle più intime gioie, speranze, interessi, ma anche paure, tristezze e rabbie. Cedere queste intime ramificazioni del nostro essere significa abbassare la guardia, permettere all’Altro di conoscere profondamente tutto ciò che il corpo spesso tende ad occultare per naturale  pulsione alla propria protezione. Nel dare non si può fare a meno di portare qualche cosa alla vita dell’altra persona: durante questa attività a-finalistica è impossibile evitare di ricevere (tutt’altro che passivamente stavolta) ciò che le viene dato di ritorno. Dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà, ed entrambi dividono la gioia di sentirsi vivi.  

Innamorarsi o amare?

Un grande fattore di incomprensione nelle relazioni potrebbe essere la confusione che spesso facciamo tra “innamorarsi” ed “essere innamorati”, cioè amare. Troppo spesso crediamo che l’amore si manifesti già nel famoso “colpo di fulmine”, cioè nel trovare sul “mercato dell’amore” la persona più adatta a noi, e quando siamo positivamente colpiti dalle caratteristiche della persona incontrata proviamo quella infatuazione che spesso viene scambiata per “amore”. Si sente spesso dire di aver “trovato l’amore”, come se l’amore fosse qualcosa che si trova per caso, e non un sentimento che si costruisce. Quando però quell’infatuazione iniziale sfuma, come dopo poco tempo sfuma l’interesse per qualsiasi merce acquistata, diciamo di “non provare più amore”, quando è più probabile che non abbiamo mai amato, ma si trattava solo di un innamoramento effimero

Il mercato dell’amore e i social network

Questa confusione è particolarmente diffusa nella moderna cultura capitalistica occidentale, dove la soddisfazione personale viene perseguita attraverso la ricerca sul mercato dei beni che più ci aggradano, compatibilmente con le nostre possibilità economiche. Quando dobbiamo comprare una nuova auto o un nuovo cellulare, studiamo cataloghi dove sono illustrate le caratteristiche e gli optional dei vari modelli, e scegliamo quello che preferiamo sulla base di quanto siamo disposti a spendere, per poi puntualmente stufarci del nostro nuovo acquisto poco tempo dopo. Questo atteggiamento consumistico di “ricerca sul mercato” spesso influenza anche le nostre relazioni, e siamo portati a credere che cercare l’amore significhi semplicemente cercare persone che risultino per noi attraenti (sotto i più soggettivi punti di vista), fermo restando quanto possiamo risultare appetibili noi. Cerchiamo di trarre la massima soddisfazione personale  in rapporto a quanto possiamo noi stessi soddisfare gli altri, e quando troviamo uno scambio equo, onesto e reciprocamente proficuo diciamo di “esserci innamorati”. 

La natura “economica” del mercato dell’amore è ancora più palese sui social network. Spessissimo i social vengono usati per analizzare le caratteristiche di possibili partner, cercando di capire se queste rispondono alle nostre esigenze di mercato: quando pensiamo che qualcuno o qualcuna potrebbe interessarci, subito corriamo sui suoi social a controllare quanto è effettivamente attraente, che stile ha o se scrive cose che ci interessano, insomma quanto può soddisfarci. Allo stesso modo, noi stessi impostiamo la nostra bacheca social come una vera e propria vetrina, dove ci preoccupiamo di mettere in mostra le caratteristiche che potrebbero interessare agli altri. Ci teniamo a far sapere che suoniamo il violino, che abbiamo un fisico allenato o che frequentiamo determinati ambienti, spesso cerchiamo anche di dimostrare uno status economico superiore al reale, sperando che queste caratteristiche ci facciano risultare desiderabili. In questo modo, i nostri profili social diventano come quelle riviste di elettronica dove accanto alla foto di tutti i computer sono elencate le specifiche, con il prezzo scritto bene in evidenza. Quel prezzo che nel caso dei pc è direttamente esplicitato, nel mercato dell’amore equivale al nostro valore di scambio, a quanto risultiamo effettivamente appetibili. Nelle società capitalistiche avanzate cercare l’amore rischia di diventare una mera mercificazione ed esposizione delle nostre qualità umane, oltre che materiali, da mettere bene in mostra come un pescivendolo espone al banco la sua merce più fresca. 

L’amore e i castelli di sabbia

Chiariti i concetti e la natura necessariamente attiva dell’esperienza amorosa, il carattere espansivo del dare, Fromm ravvisa elementi fondamentali, radici del rapporto nelle quali scorre la sua linfa vitale: la premura, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza. Pagine preziose vengono dedicate a questi quattro cardini della relazione che meriterebbero di essere discusse in seguito. Ciò che il nostro autore desidera trasmettere è la passione, la dedizione e l’impegno che la costruzione di un vero rapporto d’amore esige e merita. Negli ultimi tempi viene spesso esaltato un modello di relazione intesa come fonte di rifugio da disagi e problemi che la vita quotidiana ci presenta; canzoni, film o post sui social network tendono a rappresentare un modello stile “noi due soli contro il mondo” che, se a primo impatto può sembrare romantico ed attraente, ad un’attenta analisi appare più problematico. Creandoci un bunker, una trincea, rischiamo di interpretare la nostra esistenza da un lato come totalmente dipendente dai nostri “compagni/e in armi”, dall’altro smettiamo di credere che al di fuori di essa rimanga qualcosa per cui valga la pena vivere

Sarebbe auspicabile invece cambiare metafora, cercare qualche esempio più edificante e ricorrere, come molti autori nella storia hanno fatto, all’esperienza infantile. Un esempio interessante è quello dei bambini in spiaggia intenti a costruire un castello di sabbia. Pensate a quando da piccoli, la maggior parte di noi spendeva energie e spirito di laboriosità per realizzare quelle piccole fortezze. Sapevamo che in ogni momento un’onda avrebbe potuto rovinare il nostro lavoro, e il più delle volte effettivamente era così! Eppure, con la costanza e il desiderio di progettare un’architettura più solida, ricominciavamo pensando che ne valesse la pena, anche se nel profondo lo spettro dell’onda successiva aleggiava nuovamente

Pensiamo adesso ad un rapporto d’amore sincero: nei momenti che definiamo “perfetti” , ciò che fino a quel momento è stato costruito sembra inafferrabile, inespugnabile. Poi arriva l’onda. Per quanto ci sforziamo ogni giorno di riuscire a coordinarla, incanalarla o evitarla, tutti noi sappiamo che la nostra vita è imprevedibile proprio come quell’onda. Quando, per i più svariati motivi, la marea diventa movimentata, è inevitabile che la struttura traballi, si rovini ai lati o perda le proprie fondamenta. Ed è proprio in quel momento che lo spirito di rimboccarsi le maniche, ricominciare e cercare di scoprire gli errori presenti nella scorsa costruzione porta ad una nuova consapevolezza del sé, del noi, del mare nella vita. La costanza, il percepire una motivazione che ci riporta pazientemente a lavoro, possono essere la fonte attraverso la quale abbracciare ogni giorno, insieme, il mistero della vita. Così facendo, consapevoli del fatto che non esiste rapporto senza reciproco impegno, impareremmo ad amar-ci ed amare la complessità del domani, senza odiarlo. 

D’altronde, esiste un bambino che odia il mare solo perché rovina i castelli di sabbia?

A cura di Andrea Fusco e Antonio Bocchinfuso

Presentazione Rubrica Sociologica:

Come non tutti i giornali (che siano online o cartacei) fanno, abbiamo deciso di invertire e sovvertire la strategia comunicativa tradizionale. La presentazione della rubrica ha luogo ora, alla fine di quanto letto, perché il nostro primo compito è quello di dare spazio e voce ai ragazzi e alle ragazze che amano la scrittura, la lettura, la ricerca, la voglia di mettersi in gioco. Poi veniamo noi. The Journal ASP inaugura oggi la rubrica sociologica del terzo mercoledì del mese. In questa rubrica verranno trattati i più disparati temi che coinvolgono e influenzano la società come, per l’appunto, l’amore. Questi temi però, saranno supportati dalla letteratura moderna, contemporanea o più datata e daranno vita ad attente riflessioni su quel che ci circonda portando alla luce il pensiero di questi due bravissimi ragazzi, ma soprattutto il pensiero del filosofo o sociologo a cui hanno deciso di affidarsi per strutturare le loro tesi. Il nostro obiettivo congiunto sarà quello di farvi riflettere sulla banalità di quello che vediamo, proviamo e ascoltiamo tutti i giorni. La gioventù è la stagione della curiosità e non possiamo non presentarci a questo appuntamento. E voi, sapete come si ama?

Rimanete connessi, ne vedremo delle belle. Buona lettura!

La Redazione di The Journal Asp

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