25 Aprile, cosa vuole dire resistenza oggi?

Buona Festa della Liberazione a tutti! Oramai sta diventando una piccola tradizione del nostro giornale quella di pubblicare un breve editoriale ogni anno in questa occasione. Se volete recuperare ciò che abbiamo scritto lo scorso anno lo potete trovare qui.

Oggi, approfittando dell’occasione, vorrei fare una riflessione sul significato della parola resistenza, specialmente considerando gli avvenimenti più recenti.

Credo, personalmente, che i paragoni tra la resistenza nostrana oggi celebrata e quella ucraina, alla quale abbiamo avuto modo di assistere nelle scorse settimane siano innumerevoli, ma non è su questo che mi voglio concentrare.

Trovo che la differenza più grande tra quello che avvenne ai nostri nonni e bisnonni, e quello che avviene ai nostri coetanei ucraini sia il tipo di lotta che sta avvenendo. Non si sta parlando della lotta in senso letterale del termine, bensì a livello ideologico.

La coraggiosissima lotta che ebbe fine 77 anni fa era una lotta di liberazione, tanto sul campo quanto a livello politico e ideale. L’Italia usciva da più di 20 anni di dittatura prima, seguita da guerra e occupazione tedesca poi. Regimi nei quali le libertà personali erano limitate, dove la stampa non poteva esprimersi in opposizione al governo e dove le minoranze erano attivamente minacciate dallo Stato. Da questa esperienza è uscita una generazione di uomini e donne che hanno plasmato la nostra Repubblica la quale, pur con tutti i suoi difetti, rimane uno stato liberale nel quale abbiamo la fortuna di vivere liberi.

Come l’Italia, anche se in modo diverso, l’Ucraina ha conquistato in passato queste libertà e si trova adesso nella complicatissima situazione di doverle difendere. Certamente però la giovane età dell’Ucraina indipendente contribuisce alla peculiarità della situazione.

Come tutte le cose, la vittoria alleata sul terzo reich hitleriano [ndr. appositamente non maiuscolo] ebbe i suoi lati negativi. Principalmente il riconoscimento dell’Unione Sovietica come potenza mondiale egemone, contrapposta agli Stati Uniti d’America.

Dico questo perché le popolazioni che ebbero la sfortuna di diventare dominio sovietico rimasero quasi 50 anni sotto un regime non diverso da quello che i nostri avi avevano appena scacciato dalla nostra penisola.

Con la caduta del muro di Berlino fu inevitabile il conseguente scioglimento dell’URSS in 15 repubbliche indipendenti, alle quali bisogna sommare gli stati allineati come Ungheria, Polonia o Cecoslovacchia.

Ed è esattamente in questo periodo di tempo che avviene la liberazione degli stati post-sovietici, i quali cercarono in massa riparo nella famiglia europea e nella NATO.

Ci tengo a fare un breve excursus per approcciare un tema, ovvero quello della famigerata espansione della NATO. Tutti sappiamo che l’alleanza ha come punto cardinale la cosiddetta politica delle porte aperte, la quale consiste nel non precludere stati dall’accesso all’organizzazione. Ebbene, a partire dal discioglimento dell’URSS molte di queste repubbliche sovietiche o precedentemente allineate chiesero di entrare a far parte dell’alleanza atlantica. Ci tengo a sottolineare che questa fu una richiesta fatta dagli stati. L’idea stessa di un espansionismo NATO è tendenziosa a partire dalle sue premesse. La libertà di prendere decisioni sovrane degli stati è una prerogativa fondamentale del diritto internazionale e la scelta che venne fatta da diversi stati sovrani al tempo fu quella di abbandonare la Russia in favore delle nazioni occidentali, capitanate dagli Stati Uniti.

Ed è proprio questo il processo che stava avendo luogo in Ucraina prima del fatidico 24 febbraio scorso.

Dopo la rivoluzione di piazza Maidan nel 2014 (che gli ucraini chiamano anche Euromaidan), e la deposizione del Presidente filorusso Viktor Janukovyč, il governo Porošenko iniziò il processo di integrazione con l’Unione Europea con la firma di due trattati nei primi mesi del 2014. Un processo che continua ancora oggi con la presidenza Zelenskyj.

Ebbene, la decisione sovrana da parte dell’Ucraina di allontanarsi dalla Russia per avvicinarsi all’Unione Europea e la NATO (alla quale l’Ucraina si stava avvicinando pur con molte difficoltà rispetto all’UE) non è andata giù al Cremlino, che ha deciso di attaccare militarmente lo stato confinante.

Ora, come anticipato, la resistenza dell’Ucraina è la resistenza di uno stato che aveva almeno in parte conquistato la libertà dal giogo oppressore della dittatura. Una dittatura che ha portato la guerra in un paese pacifico, che non voleva altro che libertà e indipendenza. Una guerra che tutti noi ci auguriamo venga persa dallo stato invasore.

Questo terribile evento indica come oggi la parola resistenza abbia una connotazione di difesa dei diritti e delle libertà che sono stati conquistati con il sangue da chi è venuto prima di noi, diritti e libertà che siamo obbligati a difendere.

E non dobbiamo pensare che questo tipo di resistenza si applichi solo allo all’Ucraina. Certamente la guerra è una manifestazione tremenda della realtà di un conflitto ideale che vede contrapposte da un lato le democrazie basate su libertà e diritti, e dall’altro tendenze autocratiche che mirano a ridurre i diritti dei cittadini di tutto il mondo ove siano presenti.

Detto ciò, in modo certamente meno terribile questo conflitto filosofico-politico si è manifestato in modo più o meno piccolo svariate volte nel passato più recente.
In primis penso al 6 gennaio 2021 a Washington DC. Quando i supporter di Donald Trump invasero il Campidoglio americano nel tentativo di sovvertire i risultati dell’elezione avvenuta poche settimane prima, ma penso anche alla recente rielezione di Viktor Orban in Ungheria, vassallo di Putin e beffardo nei confronti dell’Unione Europea e del sistema valoriale da essa rappresentato, ma anche alle LGBT free zones in Polonia, la recessione nei diritti delle donne in Turchia, le leggi anti-abortiste in America, i legami economici di molti partiti europei destrorsi (Lega e Rassemblement National per citarne un paio) con Mosca, e molte altre istanze più o meno gravi che sono indice della facilità con la quale si può cadere dalla democrazia dei diritti a dittature oligarche improntate sulla repressione, o anche solo esserne tentati.

Il punto è proprio questo, il raggiungimento di un diritto o una libertà è solo parte del lavoro. Il nostro compito è quello di resistere. Resistere alla recessione dei diritti e delle libertà, che sono tanto difficili da conquistare quanto facili da perdere.

Non solo oggi, ma tutti i giorni, siamo tenuti a pensare a questo nostro ruolo di resistenza. Non si parla di una resistenza partigiana armata da XX secolo, ma di una resistenza ideale all’avanzamento delle tenebre proiettate dalle tendenze fasciste e illiberali che cercano di permeare nella nostra società.

Dobbiamo prenderci cura dei diritti che altri hanno conquistato per noi, senza darli per scontati.

Dobbiamo conquistare altri diritti, perché chi verrà dopo di noi possa prendersene cura.

Buon 25 aprile.

Umberto Costa Broccardi

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