Riflessioni sulla disabilità e l’inefficienza di Roma Capitale /Conclusione/

CONCLUSIONE:

Anche quest’anno di pubblicazioni e collaborazioni è volto alla fine. Sapevamo fin dall’inizio quanto fosse importante continuare a portare avanti la collaborazione con il laboratorio di scrittura accademica tenuto dalla Professoressa Salvini. In particolar modo quest’anno, abbiamo avuto il piacere di vedere quanto i ragazzi e le ragazze dei corsi di Scienze Politiche si siano impegnati nel produrre un testo pensato oltre che ben scritto. Il tema promosso congiuntamente con la Professoressa ha posto in rilievo un problema assai presente all’interno della nostra realtà e affinché possa essere risolto, il dovere morale è quello di informare, sensibilizzare e dunque rendere consapevole ogni strato sociale che partecipa all’interno della società italiana e soprattutto romana. Roma e i suoi cittadini sono stanchi, la politica deve agire per migliorare le condizioni di tutti coloro che soffrono una città non all’altezza della responsabilità che porta. Ringraziamo ogni ragazzo e ogni ragazza per aver riposto dell’impegno in questo lavoro e ringraziamo la Professoressa Salvini per averci permesso di rispondere a un’urgenza.

La Redazione di The Journal ASP

PRIMO TESTO – A cura di Fabiola Ferrara

Credere, combattere, conquistare. 

Questa formula non è il motto di un esercito in assetto di guerra, ma lo spirito con cui le persone che hanno disabilità fisiche o mentali devono fare i conti ogni giorno.

Bisogna credere nella propria unicità, forza e capacità. 

Bisogna combattere per queste qualità, affinché non vengano schiacciate da chi non sa riconoscerle.

Bisogna non arrendersi, mai.

Solo tramite le prime due azioni, concatenate e interdipendenti, si arriva alla terza: la conquista, tutt’altro che scontata, di prerogative e di integrazione sociale. Dato che, elencate così, potranno sembrare vaghe, mi soffermerò in virtù della mia esperienza su una precisa disabilità: la sindrome di Down. 

A Formia, nella città in cui sono cresciuta, c’è un piccolo chiosco nella villa comunale, gestito da ragazzi e ragazze con la sindrome di Down, grazie alla cooperativa «Down at Work». 

Quest’estate ho avuto l’opportunità di dare una mano e ho da subito notato le loro grandi potenzialità frutto di alcuni corsi di formazione che gli hanno permesso di apprendere una professione tutt’altro che semplice. Tramite il loro lavoro nel bar, non solo ragazzi e ragazze hanno accresciuto la loro autonomia e hanno fatto proprio un mestiere, ma si sono messi in gioco, confrontandosi con i clienti e cimentandosi nelle responsabilità che derivano dal lavoro. 

Fabrizia, Francesco, Vittorio e tutti gli altri hanno dimostrato di saper contare sulle loro potenzialità, sostenuti anche dai loro genitori, e hanno lottato per continuare a lavorare, anche quando la crisi post-pandemia ha fatto vacillare tutte le certezze. Così facendo non solo hanno raggiunto le aspettative di chi ha investito su di loro, ma le hanno anche superate dando uno schiaffo morale a chi non credeva nelle loro capacità.

Il lavoro non solo nobilita ciascuno di noi, ma lo rende parte di una società, di un gruppo, inserendolo in un’ampia rete di relazioni che lo stimola e lo fa maturare come un frutto.

Tutto questo non vale solo in una piccola realtà come Formia, anzi. L’esigenza è ancor più forte in una grande città come Roma, dove – nonostante siano molte le persone con la sindrome di Down – mancano offerte variegate e produttive che facilitino l’ingresso non solo nel mondo del lavoro, ma anche nella società di chi ha una disabilità.  

Mi chiamo Fabiola e chiedo che a Roma IL LAVORO NON SIA UN PRIVILEGIO. 

SECONDO TESTO – A cura di Chiara Sattin

Non vedo, non sento, non parlo.

Si tratta di un atteggiamento abbastanza consueto per la Pubblica amministrazione italiana, ma spero che al mio messaggio sarà prestata sufficiente attenzione. 

Pochi giorni fa, camminando sul marciapiede, per recarmi all’università, poco prima dell’ingresso, mi sono bloccata: quattro monopattini di alcune compagnie di sharing erano posizionati, con diverse angolazioni, nel bel mezzo del marciapiede. Nonostante io sia giovane e agile, ho trovato non poca difficoltà nel superare questi ostacoli inaspettati. Cercando di oltrepassarli, ho ben compreso quanto sarebbe stato complicato per una persona con difficoltà motorie passare oltre quei monopattini abbandonati senza riguardo in mezzo al passaggio. 

Le novità non devono essere un ennesimo ostacolo alla circolazione. 

Le novità non devono gravare su chi ha già molte difficoltà a muoversi. 

Le novità non devono essere esenti da regole.

Roma, città con una gloriosa storia, non si impegna a sufficienza per rendere altrettanto glorioso il suo futuro; Roma, patria del diritto, non si interessa di regolamentare i nuovi mezzi di locomozione alternativi ed ecologici; Roma, capitale che traspira sorellanza e fratellanza cittadina, ignora le esigenze di parte della sua comunità. 

Nessuno dovrebbe preoccuparsi di circolare su un marciapiede come se, invece di un facile percorso urbano, si dovesse valicare i più impervi passi di montagna. 

Perché mai dovremmo accettare che, a causa dell’assenza di regole, alcuni concittadini debbano tentare la scalata dell’Everest per arrivare a destinazione? È mai possibile che persone con difficoltà motoria si debbano preoccupare di veder sfrecciare, a 100 all’ora sui marciapiedi, monopattini elettrici a pochi millimetri da loro?

Non svoltiamo l’angolo senza pensare. 

Regoliamo ora la circolazione dei monopattini elettrici: non devono ostacolare nessuno.

Mi chiamo Chiara e chiedo che a Roma LA MOBILITÀ ARROGANTE DI POCHI NON PENALIZZI LA MOBILITÀ SERENA DI MOLTI.

TERZO TESTO – A cura di Massimo Mattera

La scuola, il lavoro, la salute, lo sport.

Sono innumerevoli i contesti sociali connessi alla disabilità. Tutti questi ambiti hanno un comune denominatore: l’accessibilità. Per una persona disabile usufruire degli spazi collettivi genera autonomia. E l’autonomia, si sa, è una condizione a cui chiunque aspira. 

L’autonomia è quella condizione che ci permette di uscire dalla nostra tana, 

è quella condizione che ci permette di spiccare il volo, 

è quella condizione che ci rende liberi di esprimere noi stessi.

 L’accessibilità non riguarda solo l’accesso a un luogo fisico, ma anche la possibilità di utilizzare diversi strumenti che la società offre. Questo tema ha molteplici facce: dai documenti ai siti web, dagli sportelli del bancomat ai mezzi pubblici o agli ascensori, dai ristoranti ai luoghi di studio, di cura, di lavoro o di svago. Nonostante si tratti di un tema davvero importante, molto spesso, soprattutto in Italia, non viene trattato con la dovuta attenzione.

 Il problema della mancanza di accessibilità ai servizi assume un volto ancora più preoccupante nelle città storiche come Roma. Una città affascinante da un lato, ma che dall’altro costringe le persone disabili a navigare in un mare di problemi. Molto spesso si pensa che i luoghi storici siano semplici luoghi di arricchimento artistico o mete turistiche, ma la realtà è ben diversa. In una città come Roma, molti edifici storici sono utilizzati per scopo sociale e lavorativo. 

Se questi luoghi non dispongono di un adeguato sistema di accessibilità, si preclude ai disabili la partecipazione a numerose attività fondamentali della vita quotidiana. Una soluzione al problema potrebbe essere l’adozione di rampe mobili che facilitino l’accesso ai luoghi pubblici ma che allo stesso tempo possano essere rimosse con facilità, in modo da non alterare la fisionomia dei luoghi storici.

Un altro grande problema della città di Roma è rappresentato dalla pavimentazione di sanpietrini nel centro storico. Una pavimentazione tanto affascinante quanto problematica per la scarsa manutenzione di queste strade. Sarebbe sufficiente livellare la strada in modo tale da renderla uniforme e priva di buche per la sicurezza di chi è disabile, di anziani, di bambine e bambini.

Mi chiamo Massimo e chiedo che a Roma LE ESIGENZE DI CHI È DISABILE SIANO INCLUSE NELLA PROGETTAZIONE URBANA.

QUARTO TESTO – A cura di Beatrice Orlando

Emarginazione, esclusione, efficienza. 

Spesso nelle grandi città le persone con disabilità vengono trascurate negli aspetti della loro vita quotidiana. Se non fosse per la loro famiglia, molte delle persone con tipologie di problemi motori o intellettivi, sarebbero lasciati totalmente a sé stessi. 

Nel 2022 siamo arrivati a combattere per la parità dei sessi, la gender equality, ma per le persone che non sono normo-dotate ancora nulla. Basterebbe poco per assicurare a queste persone una vita serena e sicura in mezzo alle strade delle città. Nella mia personale esperienza, ho constatato che la maggior preoccupazione dei genitori di persone che non sono autosufficienti è sul futuro di queste, quando non ci saranno più chi si occuperà di loro? Chi vorrà aiutarli a prendere un autobus o accompagnarli a fare la spesa?  

L’esclusione dalla società di queste persone è implicita nelle norme sociali che vincolano i rapporti sin da piccoli. 

Nelle scuole, al parco e negli sport. 

La paura del diverso, 

la paura dell’ignoto, 

la paura di non sapersi relazionare con persone che hanno una disabilità è un problema reale. 

I responsabili politici delle città dovrebbero portare avanti progetti di inserimento e inclusione per persone che presentano un qualsiasi tipo di disabilità e rendere la loro vita più agevole e sicura. Il mio auspicio è che si raggiunga una maggiore efficienza delle istituzioni pubbliche al fine di una integrazione migliore di queste persone per facilitare e restituire qualità alla loro vita. 

Mi chiamo Beatrice e chiedo che a Roma TRIONFI L’EGUAGLIANZA DI OPPORTUNITÀ E SOLIDARIETÀ VERSO IL PROSSIMO. 

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