PRIMO TESTO – A cura di Matteo Ascenzi
Paura, frustrazione, impotenza
Questo ciò che prova chi è ipovedente o cieco. Migliaia di persone ogni giorno devono affrontare le stesse emozioni e continueranno a farlo fin quando non impareremo come ci si sente.
All’università, quando la mente corre, penso a cosa fare una volta tornato a casa. Non mi pongo neanche il problema del percorso che mi aspetta, tanto mi sembra semplice ormai. Dopo oltre un anno viene naturale: salire sul 360 in direzione Zama, aspettare di arrivare a Termini, scendere e prendere la metro con fermata a Policlinico. Un percorso che, nel peggiore dei casi, prende 45 minuti del mio tempo.
Provo a immaginare di fare lo stesso percorso a occhi chiusi. Non ci riesco. Per quanto mi sforzi, non ci riesco. Dopo qualche passo malfermo, insicuro apro gli occhi. Non so come sia successo, mi ero ripromesso di non farlo. Eppure, ci sono persone che, giorno dopo giorno, si destreggiano nel buio, muovendosi fra gli ostacoli di questa città. Nell’oscurità più totale provo un turbinio di emozioni.
Mi chiedo se queste siano le stesse emozioni provate da chi, al buio, non sta per scelta, ma per uno scherzo del destino. Ma la risposta già la conosco.
La conosco perché anch’io mi preoccupo che i semafori rossi diventino verdi.
La conosco perché anch’io aspetto il nome della fermata a cui devo scendere apparire dietro l’angolo.
La conosco perché anch’io camminando schivo i tavolini, le sedie, i monopattini presenti su ogni marciapiede di questa città.
Frustrazione, Impotenza, Paura.
La frustrazione di non sapere se poter attraversare o meno la strada a causa del lassismo che impedisce di aggiungere un semplice segnalatore acustico ai semafori romani.
L’impotenza di non sapere quando scendere dall’autobus che ti riporta a casa, per la frequente assenza di audio registrati che segnalino i nomi delle fermate.
La paura di inciampare in oggetti e divertissement vari disseminati sui marciapiedi per inciviltà diffusa e a regole sull’occupazione del suolo pubblico troppo spesso aggirate e non rispettate.
Mi chiamo Matteo e chiedo che a Roma I CITTADINI E LE CITTADINE NON VEDENTI O IPOVEDENTI SIANO EGUALMENTE CONSIDERATI, COME CI SI ASPETTEREBBE DALLA CAPITALE DELLA TERZA ECONOMIA UE.
SECONDO TESTO – A cura di Flavia Castellani
Vorrei, non vorrei. Potrei, non potrei.
Metto un piede fuori dalla porta, sono da sola, assaggio l’asfalto con la suola delle mie scarpe, poi rientro, non posso uscire senza i miei genitori. Ottavia è una ragazza autistica, Ottavia, è una ragazza che desidera visitare la città di Roma ma le hanno sempre insegnato che non può vagabondare da sola.
Le dicono che la città è piena di insidie,
le dicono che le strade non sono sicure,
le dicono che non può viaggiare da sola sull’autobus.
È ingiusto, perché a scuola ha studiato tutti i monumenti e le opere d’arte che sono custodite nella città eterna e li sa descrivere come se li avesse visti mille volte.
È meglio studiare il Colosseo su un libro o vederlo dal vivo? La risposta è che vanno bene entrambe le opzioni. La scuola è il miglior luogo per aumentare la consapevolezza delle nuove generazioni riguardo le disabilità, che siano di tipo cognitivo, fisico o le cosiddette disabilità “invisibili”. La scuola è la via per l’indipendenza, proprio per questo dovrebbero aumentare le campagne di sensibilizzazione verso questi temi ma io, che ho finito il mio percorso d’istruzione un anno fa, non ho mai avuto la possibilità approfondire alcuni aspetti della vita dei miei coetanei e coetanee autistici.
Per aiutare Ottavia, e tutti coloro che hanno una disabilità, a visitare una città incantevole come Roma, potremmo ispirarci al modello anglosassone della carta “Just Can’t Wait”, un passaporto di libero accesso ai bagni pubblici di ogni tipo per chi ha malattie all’apparato digerente. Uno strumento del genere, adattato alle necessità di un individuo con disabilità cognitiva poco grave che sia approvato dal Comune di Roma, lo renderebbe visibile tra milioni di persone. Una tessera da tenere sempre con sé e da mostrare nel momento del bisogno, questo donerebbe ad Ottavia anche solo un minimo d’indipendenza.
Questo permetterebbe ad Ottavia di prendere l’autobus da sola alla fermata davanti a casa sua per andare a vedere il Colosseo.
Mi chiamo Flavia e chiedo che a Roma NESSUNO RESTI INVISIBILE.
TERZO TESTO – A cura di Iacopo Germolè
Meno indifferenza, più assistenza.
Basta ignorare i problemi che ogni giorno le persone con disabilità fisiche o cognitive affrontano per muoversi da una parte all’altra della città. Anche loro, cittadini e cittadine come tutti, hanno il diritto di spostarsi in autonomia senza dover affrontare una serie di problemi.
Provate a immaginare di non poter salire su un mezzo pubblico perché sprovvisto di una pedana;
provate a immaginare di non riuscire ad attraversare una strada a causa dell’altezza del marciapiede;
provate a immaginare di non essere liberi di vedere il film che volete al cinema, perché nella sala dove è proiettato non c’è un posto riservato a voi.
Per le persone con disabilità fisiche si tratta della normalità.
La vita è una montagna da scalare. Tutti noi tentiamo di raggiungere la vetta; alcuni lo fanno con il doppio del carico sulle spalle e, mentre nessuno intorno gli tende la mano per alleggerirli,
vengono travolti da una valanga d’indifferenza. Io non voglio più voltare le spalle, e voi?
Mi chiamo Iacopo e chiedo che Roma NON VOLTI LE SPALLE A NESSUNO.
QUARTO TESTO – A cura di Theodora De Pasquale
Paura, sgomento, angoscia
Ecco cosa prova una persona che deve girare la città di Roma in sedia a rotelle.
Non ha la libertà di muoversi. Le strade sono sconnesse e impossibili da percorrere.
Vuole i luoghi più belli visitare,
Vuole la città girare,
Vuole il mondo ammirare.
Quando esce di casa, si sente come un riccio uscito per errore dal bosco che deve attraversare una strada provinciale.
La paura di essere investito dalla prima automobile che passa lo fa restare chiuso in una palla di spine.
Spesso si sentono dire di prendere i mezzi pubblici o un taxi.
Ma loro non sanno che mille e mille volte non riescono a salirci.
Non possiamo accettare una discriminazione del genere. Il prossimo va aiutato.
Roma caput mundi, dicevano.
Dimostriamo che siamo il centro del mondo, condividiamo i nostri progressi.
Eliminiamo le disuguaglianze, aiutiamo coloro che sono diversi dalla folla.
Mi chiamo Theodora e chiedo che ROMA SIA LA CAPITALE DI TUTTE E TUTTI.