La politica estera italiana e i rapporti con la Cina

TJ x Limesclub

Ministero Affari Esteri italiano

L’operato Draghi: tra realismo e atlantismo

Durante il governo Draghi la linea della politica estera italiana e i rapporti con la Cina sono notevolmente mutati. Questo cambiamento è stato principalmente la conseguenza di una serie di fattori che premevano sia sul fronte estero sia sul fronte interno.

Innanzitutto, a pesare nei rapporti tra Italia e Cina, è stato il mutamento del contesto internazionale caratterizzato da un inasprimento deciso nei rapporti tra Pechino e gli Stati Uniti. A questo si è aggiunto anche un deterioramento dei rapporti tra la Cina e l’Unione Europea. Per quanto riguarda il fronte statunitense, la politica estera del presidente Joe Biden ha preso una preso una piega molto diversa se paragonata a quella del suo predecessore Trump. Il presidente in carica infatti si è schierato a favore di una politica di aperto confronto e competizione con la Cina, puntando su una strategia che comprende il rafforzamento delle relazioni bilaterali statunitensi con i suoi alleati (Giappone, Taiwan, etc) in funzione anti cinese.

Un secondo scenario da non sottovalutare è certamente il fronte europeo. Nonostante i paesi membri dell’UE abbiano mostrato poco entusiasmo per le iniziative statunitensi promosse da Biden, quali Build Back Better World (programma di investimenti nelle infrastrutture pensato come alternativa alla nuova via della seta cinese) e l’Initiative for Democratic Renewal (un programma di promozione e difesa della democrazia a livello globale); all’interno dell’Unione si è creato un forte consenso sulla necessità di sviluppare un nuovo approccio nei confronti della Cina. In primis questa nuova linea si basava su una riduzione della dipendenza economica da Pechino e su una maggiore attenzione per i diritti umani e le libertà fondamentali. Questi due elementi, furono sostenuti con forza dal presidente del Consiglio italiano, convinto europeista e atlantista. Mario Draghi, infatti, da un lato ha chiuso definitivamente il capitolo del governo Conte, fatto di relazioni piuttosto ambigue con l’alleato cinese e dall’altro lato si è discostato definitivamente dalla linea perseguita dal suo predecessore che voleva far dell’Italia il nuovo ponte tra Occidente e Oriente.

La politica italiana nei confronti della Cina durante il governo Draghi può dunque essere definita realista. Essa prevedeva sicuramente una forma di cooperazione con questa nazione, ma non poteva trascurare molti punti che negli anni sono sempre stati oggetto di forti tensioni con i Paesi occidentali. Il riscoperto atlantismo ed europeismo della politica italiana tra il 2021 e il settembre 2022 aveva creato una certa compattezza all’interno del governo tecnico guidato da Draghi e fece in modo che si mantenesse una linea dura e pragmatica nei confronti della RPC.

Le sfide del Governo Meloni

Il governo Meloni, insediatosi nel settembre scorso, deve fare i conti con un contesto in cui i rapporti tra Stati Uniti e Cina, e quest’ultima e l’Unione Europea sono ai minimi storici.

Quasi nessun cambiamento è avvenuto nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti. O almeno non in positivo. L’amministrazione americana del presidente democratico Biden cerca infatti in tutti i modi di ostacolare lo sviluppo tecnologico ed economico della seconda economia mondiale con l’esclusione di alcune aziende cinesi dai circuiti della tecnologia avanzata. Inoltre le tensioni con Pechino si sono acuite specialmente riguardo alla questione di Taiwan al punto da sfiorare una quarta crisi dello Stretto. Quest’ultimo scenario rappresenta un punto caldo anche nelle relazioni tra l’Unione Europea e la Cina. A questo riguardo il governo Meloni sembra intenzionato a seguire la via tracciata dal precedente governo Draghi, nonostante le vedute politiche dei partiti che lo compongono siano piuttosto eterogenee. In tale scenario, il nuovo governo deve fare i conti con le diverse sensibilità delle tre forze politiche della coalizione rispetto ai rapporti con Pechino. Ad esempio la Lega di Salvini, al governo nel momento della firma del Memorandum of Understanding (MoU), si mostra oggi come allora divisa tra chi si schierava dalla parte di Pechino e chi invece più preoccupato di inimicarsi gli alleati americani avrebbe preferito lasciar perdere. Dall’altro lato, FI si era espressa favorevolmente verso una collaborazione con la Cina purché fosse prudente. L’attuale premier invece si è espresso negativamente usando toni molto aspri anche durante la campagna elettorale e definendo l’accordo bilaterale tra Italia e Cina un “grosso errore”.

Nonostante l’attuale governo non abbia cambiato rotta rispetto al precedente, gli scambi economici tra Italia e Cina non ne hanno risentito.

Se è vero che dopo la vittoria elettorale la premier ha ammorbidito la dura retorica usata in precedenza e che al vertice del G20 a Bali, in Indonesia, si è parlato di un clima “molto cordiale” nel colloquio tra Giorgia Meloni e Xi Jinping, la traiettoria complessiva sembra restare quella verso una maggiore assertività da parte italiana nelle relazioni con la Cina. D’altra parte, però, è ancora presto per valutare se una forza politica da sempre scettica sulla necessità di rafforzare l’unità dell’Ue si farà promotrice di una politica europea sulla Cina coesa e unitaria e intenda lavorare di concerto con le istituzioni europee in questa direzione.

A cura di Sara Torricelli

Fonti

https://www.iai.it/it/news/la-presenza-della-cina-italia

https://www.iai.it/it/pubblicazioni/litalia-dal-governo-draghi-al-governo-meloni

https://www.iai.it/it/pubblicazioni/gli-italiani-e-la-politica-estera-2022

https://www.limesonline.com/cartaceo/la-cina-si-vede-cosi-contro-lamerica-e-sopra-la-russia

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