Sono 125 le donne uccise nel 2022, il 95% maggiorenni e il 78% italiane. Sono stati 103 gli omicidi in ambito familiare, 61 per mano del partner o ex, 34 da un genitore o da un figlio. Sono le cifre della strage ricordate in un’analisi realizzata in occasione dell’8 marzo dalla Direzione centrale della Polizia criminale. Gli omicidi di donne erano stati 119 nel 2021. Negli ultimi quattro anni c’è stato un aumento dei casi in cui la vittima è donna: da 112 del 2019 a 125 del 2022.
Giovedì 9 marzo, l’Università LUISS Guido Carli ha ospitato l’avvocato Valeria Aresti, esperta in tutela delle donne e dei minori, proprio per discutere di un tema così delicato ed importante.
Nelle situazioni di violenza domestica la relazione si trasforma in un luogo insicuro dove i comportamenti violenti del partner abusante compromettono la salute fisica e mentale di chi li subisce. Se la cura, il dialogo, il rispetto, l’affettività sono i tratti distintivi di una buona relazione di coppia e di un sereno ambiente familiare, questi sono aspetti completamente assenti in una relazione violenta. L’ espressione violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare, tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. L’articolo 3 della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa (Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” designa una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica. Sono comprese anche le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata.

Le statistiche non faranno altro che peggiorare? La risposta a questa domanda è sicuramente molto complessa. I numeri dicono che, a fronte di una legislazione sempre più completa e costante avuta nell’ultimo ventennio a tutela delle vittime di violenza, ancora i femminicidi, la violenza domestica e quella relazionale non accennano a diminuire. “Quindi la vera domanda che dobbiamo porci è questa: stiamo agendo in maniera concreta? Cosa manca ancora se, nonostante la legislazione, oggi continuiamo a contare un femminicidio ogni due giorni?”, queste le parole iniziali dell’avvocato Valeria Aresti. “Non è sufficiente agire solo al livello della punizione, ma bisogna partire con un lavoro di prevenzione”. Un fenomeno così complesso come quello della violenza di genere deve essere debellato attraverso la formazione culturale. Perché “è importante scardinare questo modello di dominio maschile che ancora oggi è presente, nonostante le conquiste politiche e sociali raggiunte dalle donne”, ha poi aggiunto l’avvocato. Dobbiamo impegnarci affinché la vittima non diventi vittima. È possibile farlo solo agendo al livello dell’educazione all’affettività fin dal contesto formativo del singolo, non solo in seno alla famiglia ma anche nel percorso scolastico, con una formazione adeguata all’età. Perché è a casa e anche a scuola che si forma la struttura della personalità di ciascuno. “È necessario formare i ragazzi al rispetto di genere, debellando il modello maschilista che la società ha sempre proposto”, ha sottolineato la dottoressa nel corso dell’intervista.
“Quello che manca oggi è la presenza di una prevenzione che sia strutturata in modo continuativo. Non è una formazione che può essere affrontata in maniera settoriale nella giornata dell’8 marzo o del 25 novembre”. La stessa dottoressa Aresti, a tal proposito, è direttrice del “Master specialistico interdisciplinare sulla violenza domestica e di genere”, unico in tutta Italia, composto da 19 moduli formativi in cui si parla non solo dell’aspetto giuridico o psicologico, ma si affronta la tematica della violenza dal punto di vista sociologico, antropologico, criminologico, medico-legale e linguistico, per avere una visione al 360 gradi dell’argomento.

Quello che noi vediamo, infatti, “è solo la punta dell’iceberg”. Dietro l’atto coraggioso di una donna che decide di denunciare c’è un passato di violenza psicologica e anche fisica che proviene da molto lontano. La violenza domestica può assumere diverse forme che possono essere presenti singolarmente o manifestarsi tutte contemporaneamente. Oltre alla violenza fisica, maggiormente riconosciuta perché lascia segni sul corpo, e alla violenza sessuale, c’è la violenza psicologica, che rappresenta una forma di maltrattamento altrettanto diffusa, sebbene più subdola e complessa da riconoscere. Poi la violenza economica, che mira al controllo della partner tramite privazione o limitazione nell’accesso alle disponibilità economiche proprie o della famiglia e gli atti persecutori, riconducibili alla fattispecie di reato di stalking.
Le conseguenze per le donne sopravvissute a violenza domestica possono essere gravi e profonde e anche più acute se esse sono madri. L’indagine svolta da ISTAT nel 2014 ha evidenziato come più della metà delle vittime soffra di perdita di fiducia e autostima (52,75%). Tra le conseguenze sono molto frequenti anche ansia, fobia e attacchi di panico (46,8%), disperazione e sensazione di impotenza (46,4%), disturbi del sonno e dell’alimentazione (46,3%), depressione (40,3%), nonché difficoltà a concentrarsi e perdita della memoria (24,9%), dolori ricorrenti nel corpo (21,8%), difficoltà nel gestire i/le figli/e (14,8%) e infine autolesionismo o idee di suicidio (12,1%).
Ma avete mai notato come vengono raccontati i femminicidi? Troppo spesso proponendo un modello relazionale in cui la donna ha fatto qualcosa di sbagliato per meritarsi quella fine. Le stesse giovani ragazze tra di loro sono le prime a criticare e ad introiettare questo modello culturale di sottomissione. Perché “se l’è andata a cercare”, perché “poteva vestirsi in modo diverso”, perché “poteva tornare prima”, perché “cosa ci faceva in macchina con lui, non era necessario”, o perché “allora piaceva anche a lei”. Sono tutti messaggi che rischiano di alimentare il circuito della violenza e di impedire alla stessa vittima di denunciare, perché “non verrà creduta se il primo giudizio arriva dalla società e, purtroppo ancora oggi succede, dalla stessa famiglia”, ha sottolineato l’avvocato. “Stereotipi e pregiudizi, di conseguenza, innescano nella vittima il processo di vittimizzazione secondaria, che la induce ad auto colpevolizzarsi”.

Quasi mai si sa che cosa bisogna fare e troppo spesso si corre il rischio di perdere la possibilità di aiutare. Non abbiate paura. Il numero 1522 appartiene al Telefono Rosa Antiviolenza e Antistalking. È attivo 24 ore su 24, tutti i giorni durante il corso dell’anno ed è gratuito su tutto il territorio nazionale. Esiste anche l’applicazione nota come app 1522, che consente di chattare con gli operatori che potranno dare il supporto necessario, e l’app YouPol, creata dalla Polizia di Stato per i casi di bullismo e spaccio, ma anche per la violenza tra le mura domestiche. Resta poi la possibilità di recarsi presso Pronto Soccorso, consultori, farmacie o centri antiviolenza sparsi su tutta la penisola, soprattutto nel caso in cui siano necessarie cure mediche immediate.
Ci sono i numeri. Impressionanti, scandalosi, danno l’idea della gravità e dell’urgenza. Ma non bisogna dimenticare che dietro a quei numeri ci sono storie vere, di donne che quotidianamente lottano dietro silenzi spenti che nascondono urla e voci impercettibili. Non dobbiamo temere di avvicinarci a tale fenomeno, di conoscerlo e indagare; temiamone piuttosto lo sviluppo e la crescita. Perché non esiste dolore più grande di quello costantemente vissuto ma repentinamente soppresso.
A cura di Elena Aversa