Nell’arco di pochi giorni, lo stato scandinavo è stato palcoscenico di due eventi storici che andranno sicuramente a cambiare le carte in tavola per lo scenario europeo. Il 2 aprile Sanna Marin, il primo ministro donna più giovane ad aver mai ricoperto tale carica, è uscita sconfitta dalle elezioni parlamentari, e corre il rischio di vedere il suo partito confinato all’opposizione di fronte ad una possibile coalizione di centro destra al governo. Il 4 aprile, la Finlandia fa la sua entrata ufficiale alla NATO, dopo la richiesta congiunta presentata con la Svezia lo scorso 18 maggio, e a seguito dell’approvazione della Turchia. Ma procediamo con ordine…
Per quanto si sia dimostrata capace nel gestire la pandemia, rivelandosi un premier solido e guadagnandosi il favore dell’opinione pubblica, il primo ministro Sanna Marin alla fine ha dovuto fare i conti con gli effetti che questa ha avuto sulla spesa pubblica. I suoi rivali politici non hanno avuto remore nell’incentrare la campagna elettorale sul debito pubblico al 70%, l’economia stagnante e l’inflazione all’8%, a suon di rimproveri quali «Spende troppo». «Abbiamo perso sull’economia», constata il numero due del partito socialdemocratico Matias Mäkynen, all’indomani della sconfitta elettorale.
Il Partito di Coalizione Nazionale (PCN) guidato da Petteri Orpo aveva scommesso tutto sulla sua proposta di adeguamento fiscale da 6 miliardi di euro per i prossimi quattro anni, da tradursi in tagli alla spesa, aumenti delle tasse o riforme strutturali. Dopo aver ottenuto la maggioranza con una percentuale del 20,8%, il partito si trova davanti un bivio nella formazione del prossimo governo: una coalizione con i socialdemocratici, i quali perderebbero però il sostegno della Sinistra e dei Verdi di fronte ad un governo favorevole allo sfruttamento della torba ed al piano di decarbonizzazione accelerata, o virare verso il partito di ultradestra i Finlandesi (Perussuomalaiset), arrivato secondo alle elezioni sotto la guida di Riikka Purra? Quest’ultimo ha certamente dei chiari programmi a seguito dei risultati del 2 aprile: capitanati da una leader giovane e dal pugno di ferro (si potrebbe fare un paragone con la premier italiana Giorgia Meloni), pretendono leggi sull’immigrazione più severe, portare il numero dei richiedenti asilo a zero, la riduzione dell’importanza dello svedese (seconda lingua ufficiale della nazione) e maggiori aiuti a quelli che sono stati definiti i finlandesi «ordinari», ovvero gli abitanti di provincia di reddito medio, vittime delle discutibili scelte economiche di Helsinki.

Di fronte ai risultati elettorali, la premier uscente ha dichiarato il 5 aprile che si dimetterà a settembre dal PSD. Ma come è stato possibile che una delle leader più acclamate del panorama europeo sia stata messa da parte in tal modo? «Il nostro elettorato dà spesso prova di stufarsi delle figure troppo riconoscibili» ha commentato Marko Junkkari, editorialista politico del principale quotidiano finlandese, l’Helsingin Sanomat. Se anche Orpo si troverà ad affrontare lo stesso destino, solo il tempo può dircelo. Per ora, dovrà fare i conti non solo con il compito di formare una coalizione di governo, ma anche con un evento storico per il paese: l’ingresso alla Nato.
Con un magistrale lavoro della Marin, si è potuto osservare un radicale cambio d’umore dei finlandesi nei confronti dell’Alleanza Atlantica (il consenso è passato dal 20% al 70% in un anno). Il nuovo governo non ha intenzione di fare marcia indietro: Orpo ha fin da subito riaffermato il favore all’adesione ed il suo sostegno allo stato ucraino. Per il paese, la neutralità non è più un’opzione praticabile a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina. La Finlandia, infatti, ha sempre bilanciato le sue relazioni sia con l’Occidente che con la Russia, con la quale condivide 1.340 chilometri di confine, ma i recenti sviluppi hanno portato ad una svolta nelle relazioni con il presidente russo Vladimir Putin, che si trova ad affrontare le conseguenze delle sue azioni.
Gli ostacoli all’ingresso del paese all’Alleanza non sono mancati: in particolare, il veto da parte della Turchia, che il presidente Recep Tayyip Erdogan ha revocato solo lo scorso 17 marzo, ratificando poi i protocolli di adesione della nazione finlandese il giorno 30 dello stesso mese. Dietro all’opposizione della Turchia all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia si celano accuse ai governi dei due paesi scandinavi di sostenere ed accogliere membri di organizzazioni terroristiche turche quali il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Helsinki si è dimostrata disposta ad avanzare da sola nel processo di adesione, lasciando indietro lo stato svedese, con il quale il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha dichiarato impossibile collaborare, anche in vista delle recenti manifestazioni antislamiche tenutesi a Stoccolma.

In concreto, l’ingresso della Finlandia nella Nato non cambia molto, a parte il fatto che in futuro il paese potrà usufruire della solidarietà automatica in caso di aggressione prevista dall’articolo 5 della carta atlantica. Avendo da anni perseguito l’obiettivo di difendere la propria indipendenza, la Finlandia può vantare importanti capacità di difesa (tra cui una spesa militare del 2% del PIL, quindi già in linea con i parametri stabiliti dall’Alleanza, raggiunto attraverso un netto incremento tra il 2020 ed il 2021) ed una solida rete di cooperazione a livello sia bilaterale che multilaterale. Ciò che conta, ovviamente, è il messaggio che tale decisione ha mandato allo scenario internazionale: la Finlandia è pronta a porsi come uno dei protagonisti nel sostegno a Kiev contro l’aggressione russa, e più in generale come difensore delle regole del sistema internazionale, in questo momento minacciate dalle azioni del presidente Vladimir Putin.
A cura di Beatrice Liberati