TheJournal x LimesClub – Un approfondimento storico…
Alla fine della Prima guerra mondiale la Gran Bretagna poteva vantarsi di un sistema di assistenza sociale veramente avanzato e ampio. Pioniera in questo campo, nel quale venne affiancata dalla Germania bismarckiana alla fine dell’Ottocento, dopo il 1918 dovette rimettere in sesto non solo la sua economia ma anche tutto il suo sistema politico. In questa situazione una particolare attenzione venne riservata ai lavoratori inglesi e alle donne che furono fondamentali elementi di un ingranaggio che senza di loro sarebbe collassato negli anni della guerra.
I cambiamenti della società inglese post-bellica
Terminato il conflitto fu evidente che le misure di emergenza adottate negli anni durante la guerra non avrebbero potuto reggere alla nuova congiuntura post-bellica. La Prima Guerra Mondiale, nel lungo periodo, non cambiò in maniera significativa il sistema di welfare che si era costituito nell’epoca edoardiana, ma piuttosto determinò la sua espansione e ne rafforzò le fondamenta politiche. Infatti, molte tendenze e innovazioni attribuite agli anni tra il 1914 e il 1918 non furono tanto il risultato della guerra, quanto il naturale sviluppo di alcune disposizioni che ebbero origine già nel periodo edoardiano. Ma ciò che veramente cambiò durante la guerra fu la società inglese, al cui interno emersero in maniera evidente alcune difficoltà, legate a nuove figure che stavano iniziando ad acquisire un nuovo peso. Tutto questo venne ampiamente analizzato da Benjamin Seebohm Rowntree, all’interno del suo pamphlet The Human Needs of Labour:
«The war has torn the scales from our eyes, and forced us to see things as they really are, and by the light of this clearer vision we have come to regard many conditions as intolerable which before had only seemed inevitable. This is especially true of the conditions in which unskilled labourers, both in industry and agriculture, were living before the war. There is no denying the fact that the wages of the great majority of them were not, in any true sense, living wages. They did not provide for the reasonable human needs of men and women living in a civilized community. As a nation, however, we acquiesced in this state of things. We were so familiar with it that its evils failed to impress us. Even in our progressive and sanguine moods, the utmost that we hoped for was a very gradual and a very tentative improvement. But the war has changed all this. We have completely revised our notions as to what is possible or impossible. We have seen accomplished within a few brief months or years reforms to which we should have assigned, not decades, but generations. I do not believe for a moment that in the future we shall allow millions of our fellow countrymen, through no fault of their own, to pass through life ill-housed, ill-clothed, ill-fed, ill-educated. But if their conditions are to be remedied, the present scale of wages for unskilled labourers must be materially raised. What are the human needs of labour? At what cost can they be supplied? Can industry bear this cost? And, if not, can it be met in any other way? ».
Nelle sue parole Rowntree evidenzia una serie di cambiamenti che interessarono particolarmente i lavoratori non specializzati, sia nell’industria sia nell’agricoltura. Tra essi spiccarono le donne, che proprio durante la Grande Guerra sostennero fortemente il fronte interno e rivestirono ruoli centrali anche in ambito lavorativo. Le preoccupazioni del governo inglese furono associate a questa schiera di lavoratori e vennero riassunte in modo esaustivo dalle parole di Lloyd George e Bonar Law in occasione delle Elezioni Generali del dicembre 1918:
«The principal concern of every Government is and must be the condition of the great mass of the people who live by manual toil. The steadfast spirit of our workers, displayed on all the wide field of action opened out by the war – in the trenches, on the oceans, in the air, in field, mine and factory – has left an imperishable mark on the heart and coscience of the nation».
A livello governativo la guerra apportò delle modifiche certamente non trascurabili. Innanzitutto, è necessario ricordare che nella Gran Bretagna postbellica si aprì la strada al predominio dei Conservatori, destinati a tenere le redini del governo nei due decenni successivi. Furono proprio loro, infatti, ad affrontare la difficile situazione di dissesto economico e sociale creatasi subito dopo il conflitto e allo stesso tempo furono proprio i conservatori ad attuare le principali riforme sociali del periodo interbellico. Inoltre, per quanto riguarda le politiche sociali nel periodo tra le due guerre, è necessario tenere in considerazione un altro evento fondamentale, ovvero l’ulteriore allargamento della base elettorale al termine della guerra. Essendosi ulteriormente ampliata la base degli aventi diritto al voto, che passarono dai 7.700.000 del 1910 a 21.400.000 nel 1918, gli interventi di politica sociale divennero negli anni tra le due guerre mondiali uno strumento per assicurarsi una grossa fetta di elettori appena giunti al voto:
«This new electorate was notable for including many more young people than before, a large working-class majority, and a female element that comprised forty per cent of the total; on all three counts, it looked like a risk when peace came and the new electors had to be consulted. Parliament also recognised the material needs of the new voters in 1920 by extending the limited existing scheme of unemployment insurance to cover twelve million workers, by creating a Ministry of Health for the first time, and by passing a Housing Act designed to give effect to Lloyd George’s promise to build homes fit for heroes to live in».
Le conseguenze del conflitto non si riflettevano solo sul piano politico, bensì anche in ambito economico. I costi sostenuti per lo sforzo bellico portarono a un forte aumento del debito nazionale, che ebbe come effetto quello di limitare la portata dei procedimenti governativi negli anni Venti. Inoltre, questo non fece altro che stimolare un sistema di riduzione della tassazione e delle spese che minò seriamente le già esistenti politiche sociali e ne ritardò l’implementazione di nuove. Dall’altro lato però, non si deve pensare a un decadimento totale delle politiche previdenziali a causa degli effetti manifestati dalla guerra. Il Ministero del Lavoro, così come il Ministero della Salute, da questo punto di vista, continuarono a mantenere vivo lo spirito di intervento di Whitehall. Uno dei principali problemi che l’Europa intera dovette affrontare al termine del conflitto fu quello dei reduci e del loro reinserimento all’interno di una società che si presentava molto diversa da quella che essi avevano lasciato:
«For years after the declaration of peace, the war continued to announce itself through the ex-soldiers disabled by their injuries, men racked by coughs from being gassed in the trenches, and survivors too shell-shocked and demoralised to adjust to civilian life».
Inoltre, coloro che avevano fatto ritorno dal fronte andavano ad ingrossare le fila dei disoccupati e rendevano ancor più gravosa la situazione, già precaria, dovuta alla mancanza di lavoro. All’aumento della disoccupazione il governo britannico tentò di porre rimedio con l’approvazione dell’Out of Work Donation nel 1918. Questo provvedimento consisteva in uno schema temporaneo per far fronte al vasto numero di disoccupati nel periodo immediatamente successivo alla Prima Guerra Mondiale, dal momento che il sistema assicurativo garantito dal National Insurance Act del 1911 risultava inadeguato alle esigenze di quel preciso momento. Inoltre, l’Out of Work Donation rientrava in un insieme di misure che miravano ad evitare che reduci e lavoratori, soprattutto quelli che non godevano di una copertura assicurativa, ricorressero agli aiuti previsti dalla Poor Law, ancora presente nell’era post bellica. Ben consapevole della provvisorietà di questa legge, il governo stabilì che l’inaugurazione dell’Out of Work Donation venisse accompagnata da una dichiarazione da parte del governo stesso per l’introduzione, in breve tempo, di un nuovo schema di Unemployment Insurance. I sussidi previsti dall’Out of Work Donation vennero prorogati fino al novembre del 1919, mese in cui si iniziarono a porre le basi del Unemployment Insurance Act. Si noti che il sistema dell’Out of Work Donation costò £450.000 al governo inglese negli ultimi quattro mesi in cui fu in vigore. Per questo motivo, la parola chiave per l’approvazione del nuovo Unemployment Insurance Act del 1920 fu la «reducing expenditure», ovvero la riduzione della spesa. Per evitare che i costi da affrontare per la disoccupazione fossero troppo elevati si decise dunque si non includere alcune categorie di lavoratori e in questo modo alcuni problemi non trovarono ancora una volta soluzione:
«Il problema era che garantire benefici ai disoccupati senza coinvolgere la Poor Law implicava costi che il paese era troppo stremato per sostenere. Solo l’Unemployment Insurance Act dell’agosto 1920 definiva l’apparato che avrebbe assistito i disoccupati nei successivi venti anni. La legge allargava enormemente la platea degli eligible, del sistema assicurativo contro la disoccupazione; rimanevano ancora fuori, insieme ai lavoratori agricoli e i domestici, i ferrovieri e i dipendenti pubblici, che non erano considerati soggetti a rischio disoccupazione».
Questa nuova legge, approvata nel 1920, risentì particolarmente delle influenze a livello internazionale della International Labour Organization che già nel 1919 aveva adottato una Unemployment Recomendation per esortare tutti i paesi ad adottare efficaci sistemi di assicurazione contro la disoccupazione. Infatti, seguendo l’esempio della Gran Bretagna, molti altri paesi europei adottarono sistemi di assicurazione a carattere obbligatorio. Tra questi, l’Austria adottò uno schema assicurativo su base obbligatoria nel 1920, l’Irlanda nel 1923, la Germania nel 1927 e la Norvegia nel 1938. La disoccupazione rimase una grave problematica nella Gran Bretagna interbellica e seguì principalmente le fluttuazioni economiche. Sarebbe comunque ingannevole pensare agli anni tra le due guerre come a un’era di continua depressione economica. Nell’immediato dopoguerra, infatti, gli elevati redditi familiari produssero una consistente domanda di quei beni di consumo non disponibili nel periodo della guerra. Ci fu così, un piccolo boom economico all’inizio degli anni Venti, che però si trasformò presto in una crisi di sovrapproduzione. La ripresa che ne conseguì fu molto lenta ed ebbe come risultato la creazione di nuovi disoccupati, che si aggirarono intorno a un milione e mezzo fino al crollo della borsa di Wall Street nel 1929. Dal 1929 fino al 1932 l’economia inglese subì un ulteriore deterioramento e in questo periodo il numero dei disoccupati toccò i tre milioni fino a scendere a due milioni nella metà degli anni Trenta. Ma la disoccupazione e le risoluzioni che furono messe in campo a riguardo non furono le uniche misure adottate dopo il 1918.
Il nuovo ruolo della donna
Come già accennato in precedenza, le donne assunsero un ruolo centrale nel fronte interno durante il conflitto mondiale e sembra dunque necessario indagare l’impatto che esso ebbe su di loro. La Prima Guerra Mondiale fu un vero e proprio spartiacque nella storia delle donne e in Gran Bretagna, in particolare, secondo alcuni storici, l’esperienza del conflitto e il loro ruolo nell’economia di guerra non fecero altro che accelerare quella rivolta di origine edoardiana contro il rigido codice di rispettabilità femminile. Inoltre, non cambiò solo il ruolo delle donne all’interno della società, ma anche all’interno della famiglia stessa. Iniziò, proprio durante il periodo bellico la trasformazione della famiglia patriarcale. Durante la Grande Guerra il governo inglese cercò di aiutare il mondo femminile principalmente in due modi: dapprima con l’erogazione dei Separation Allowances e poi fornendo aiuti in caso di maternità. Gli assegni di separazione, adottati subito all’inizio del conflitto, miravano a supportare le famiglie dei soldati al fronte e la loro importanza come strumento di supporto venne sottolineata più volte all’interno delle sedute della House of Commons. L’assistenza riguardava non solo le mogli dei soldati, ma anche i figli a carico, le vedove, gli orfani e i soldati stessi che tornavano dal fronte, come si evince dalle parole di Sir Hamar Greenwood:
«I would urge the Chancellor of the Exchequer to forsake the callous indifference of this and preceding English Governments in their treatment of the soldiers who keep 98 per cent. of the manhood of the country snug, safe, and prosperous. Let him forsake the old time callous indifference and increase the allowances to the wives and children left behind and the pensions, too, of the widows and children, who will number thousands upon thousands before this horrible war is over. Let him also increase the pensions to broken-down soldiers who come back from the firing lines. Although I have tried since five o’clock, I regret I have not been able to speak before. I think the House would have been better engaged in considering its serious obligations to these brave men rather than dealing with other questions which, to my mind, are quite outside the main issue that faces this country and empire—the success of our men in the field».
La cifra prevista per i Separation Allowances fu gradualmente aumentata negli anni del conflitto, come mostrano alcune locandine del marzo 1915, del gennaio 1917 e dell’ottobre 1918 sulle quali si annunciava l’incremento di questi assegni. Per quanto riguarda la tematica della maternità ebbe molta importanza l’emanazione del Maternity and Child Welfare Act del 1918 che si rivelò di grande supporto per le autorità locali nella costruzione di cliniche specializzate per il benessere sia delle madri che degli infanti. La legge del 1918 diede un forte impulso allo sviluppo delle cure prenatali e sottolineò l’importanza della cura delle madri, il cui indice di mortalità era tra i più elevati, ancora nel 1918. Ad ogni modo, se da un lato si possono notare molti cambiamenti, anche a livello di previdenza sociale, nei confronti delle donne, dall’altro ci fu chi sostenne che la guerra non avesse alterato in maniera significativa lo status sociale della donna, soprattutto nell’atteggiamento che il governo assunse nei confronti del lavoro femminile. Un esempio significativo da questo punto di vista fu l’approvazione del Restoration of Pre-War Practices Act del 1918, che obbligò un numero consistente di donne a lasciare il proprio impiego. Si ricordi che tra il 1914 e il novembre del 1918, la percentuale delle lavoratrici salì rispettivamente dal 24% al 37%, perciò si stimò che, entro la fine della guerra, circa due milioni di donne avevano rimpiazzato gli uomini sul posto di lavoro. Con l’emanazione del Restoration of Pre- War Practices Act 775,000 donne, che avevano intrapreso un lavoro tipicamente maschile, furono costrette a lasciarlo in favore degli uomini ritornati dal fronte. Come conseguenza, però, non tutte le donne tornarono ai loro lavori tradizionali. Come ci suggeriscono alcuni Report dei primi anni Venti, l’impatto della Grande Guerra sul lavoro femminile non portò a notevoli miglioramenti, se non nel fatto che si registrò una percentuale minore di donne impiegate nel servizio domestico. Comunque, le discriminazioni non cessarono e si notò una maggiore vulnerabilità del lavoro femminile che, soprattutto nel settore industriale, fu sempre più soggetto alle fluttuazioni economiche. Sul piano politico le donne, nonostante avessero ottenuto il diritto di voto, continuarono ad essere trattate in maniera uguale al periodo prebellico:
«All the political parties treated women as though their interests lay entirely in the cost of living, housing and welfare, and as though unemployment concerned them only indirectly through their husbands».
In Gran Bretagna, dopo l’approvazione del Restoration of Pre- War Practices Act non ci furono proteste da parte delle donne, se non in casi molto isolati. Ma non si può affermare che le donne siano uscite dal mondo del lavoro tanto silenziosamente quanto come vi erano entrate. Infatti, a livello internazionale anche le donne volevano avere un ruolo determinante nella formulazione delle nuove politiche lavorative che stavano emergendo proprio nelle conferenze del dopoguerra. Così, due delegate americane della Women’s Trade Union League portarono le loro proposte alla Labour Commission istituita proprio durante la conferenza di pace di Parigi. Le loro richieste includevano alcuni standard fissati già in precedenza dal Committee on Social and Industrial Reconstruction della WTUL e comprendevano: l’abolizione del lavoro minorile, l’obbligatorietà dell’istruzione per i bambini fino all’età di diciotto anni, un massimo giornaliero di otto ore lavorative, uno stipendio equo, pari opportunità di impiego, assegni sociali per la maternità, pensioni di vecchiaia e assegni in caso di disoccupazione. Oltre a tali richieste Mary Anderson e Rose Schneiderman proposero due ulteriori miglioramenti avanzati dalle lavoratrici inglesi che chiedevano una più ampia rappresentanza femminile alla Labour Conference e all’interno della International Labour Organization. Sfortunatamente però, i lavori all’interno della Labor Commission terminarono troppo presto e così, le due rappresentati americane in accordo con Margaret Bondfield decisero di tenere una conferenza separata con l’intento di poter avere una maggiore influenza nell’ International Labor Conference (ILC) che si sarebbe riunita di lì a poco:
«Once home, at the WTUL conference in Philadelphia in June 1919, they helped draft the call for an International Congress of Working Women, to coincide with and influence the upcoming ILC, a gathering which included women as advisors but not as voting delegates. “Women had no direct share in the terms of the Peace Treaty [or] in the labor platform,” declared Margaret Dreier Robins, President of the American WTUL. “It is a man-made peace“. The 1919 Congress would formulate its own international labor standards and lobby for their adoption by the male-dominated ILO. The American WTUL would host the Congress, it was decided, and pay the travel costs of many of the international visitors».
Più di duecento donne parteciparono al convegno che si tenne a Washington tra il 28 ottobre e il 6 novembre 1919. Tra esse fu alta la concentrazione di coloro che già erano diventate membri dei sindacati soprattutto di Gran Bretagna, Stati Uniti ed Europa occidentale, ma oltre ad esse parteciparono al convegno delegate e visitatrici provenienti da circa 19 paesi, tra cui India, Giappone, Cuba, Argentina, Canada, Serbia, Polonia e Cecoslovacchia. I quesiti posti durante questo convegno furono poi presi in considerazione nella General Conference of the International Labour Organisation tenuta a Washington proprio quell’anno. Questa conferenza stilò un documento finale, suddiviso in dodici articoli in cui si fissavano alcuni dei punti proposti all’interno del convegno presieduto da Margaret Dreier Robins. Due articoli in particolare si focalizzarono sulla maternità e sulla protezione del periodo di maternità sul posto di lavoro, come si può notare nell’articolo 4:
«Where a woman is absent from her work in accordance with paragraph (a) or (b) of Article 3 of this Convention, or remains absent from her work for a longer period as a result of illness medically certified to arise out of pregnancy or confinement and rendering her unfit for work, it shall not be lawful, until her absence shall have exceeded a maximum period to be fixed by the competent authority in each country, for her employer to give her notice of dismissal during such absence, nor to give her notice of dismissal at such a time that the notice would expire during such absence».
Le prime tutele del fanciullo
Oltre alle tematiche riguardanti il lavoro femminile e la protezione della maternità soprattutto in ambito lavorativo è interessante il focus fatto sull’infanzia nel convegno di Washington poiché esso ci fa intuire che non solo le donne, ma anche i bambini furono i soggetti di un discorso a livello internazionale. Tutta la filosofia che scaturì dal conflitto, e che introdusse il riconoscimento delle minoranze nazionali, la Società delle Nazioni, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e l’aiuto ai rifugiati, ebbe riflesso anche sulla tematica dell’infanzia. I primi riferimenti alla protezione dei bambini comparvero proprio nel 1919 all’interno del preambolo allo statuto costitutivo della International Labour Organization, la quale si impegnava a tutelare i bambini in quanto elementi essenziali per perseguire la giustizia sociale e la pace. Fu nuovamente il mondo femminile, nell’incontro dei Consigli nazionali delle donne tenuto nel 1920 in Norvegia, a promuovere un’azione per il riconoscimento di una carta dei diritti a favore dei bambini. Un ruolo particolarmente importante lo ebbero alcune pacifiste inglesi che all’indomani del conflitto diedero vita all’Emergency Committee for the Assistance for Germans, Austrians and Hungarians in Distress, animato da Kate Courtney, e al Fight the Famine Committee, fondato da Eglantyne Jebb, Dorothy Buxton e Mary Sheepshanks. Dall’esperienza del Fight the Famine Committee, Eglantyne Jebb, insieme a Dorothy Buxton, diede vita nel 1919 al Save The Children Fund. Questa organizzazione, la cui fondazione fu segnalata da una lettera al Times nell’agosto del 1919, cominciò fin da subito, con le sue raccolte fondi, a far conoscere la realtà di un problema internazionale che riguardava migliaia di bambini colpiti duramente dal conflitto. A seguito dell’iniziativa di Eglantyne Jebb nacque l’International Save The Children Union nel 1920 sotto l’egida della Croce Rossa Internazionale e nel 1923 si diede vita a un documento, sotto l’auspicio della Jebb, in cui si definivano i diritti del bambino:
«Il 16 marzo del 1922, Eglantyne Jebb perorò in un memorandum la creazione di una carta dell’infanzia che, senza pretese di carattere normativo, definisse i doveri degli adulti verso i bambini, in modo che le legislazioni nazionali potessero trovarvi orientamento. […] Davanti al Consiglio generale della International Save the Children Union, il 22 e 23 febbraio 1923, presentò la proposta di una carta del fanciullo, una dichiarazione internazionale dei diritti del fanciullo, sui doveri della società nei confronti dei minori. Era un vero e proprio statuto in cinque articoli, che avviava verso una maggiore sensibilità giuridica in un’ottica di costruzione, da parte di una generazione nuova e guarita dal bellicismo, della fratellanza universale».
La Carta dei Diritti del bambino, scritta nel 1923 da Eglantyne Jebb fu il modello di riferimento nella redazione della Dichiarazione dei diritti del fanciullo di Ginevra del 1924. Essa fu fondamentale per l’emanazione di nuove leggi per l’infanzia in Gran Bretagna e non solo. In particolare, per quanto riguarda le leggi inglesi, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo risultò di grande importanza nell’approvazione del Children and Young Persons Act del 1933. Dunque, le numerose conferenze internazionali, che ebbero luogo nei primi anni del dopoguerra, ebbero un’influenza non trascurabile nella formulazione di alcune leggi nel periodo interbellico. In conclusione, si potrebbe affermare che, nel periodo compreso tra il 1918 e il 1939, lo spirito riformistico inglese fu sicuramente presente ma alcune volte risultò appiattito sull’emergenza piuttosto che essere effettivamente innovativo. Non si può dire certamente che questo periodo fu privo di cambiamenti ma bisognerà comunque attendere il secondo dopoguerra perché avvenga una rivoluzione vera e propria del welfare state britannico.
A cura di Sara Torricelli
Fonti
- Ward Stephen V., Interwar Britain: A Study of Government Spending, Planning and Uneven Economic Development, in Built Environment, Vol. 7, No. 2, 1981, pp. 96-108.
- Whiteside Noelle, Welfare Insurance and Casual Labour: A Study of Administrative Intervention in Industrial Employment 1906-1926, in The Economic History Review, Vol. 32, No. 4, Novembre 1979, pp. 507-522.
- Vincent David, Poor Citizens: The State and the Poor in Twentieth-century Britain, Longman, London, 1991.